È la questione migratoria l’indiscussa protagonista della politica internazionale delle ultime settimane. Negli Usa, con il controverso approccio dell’amministrazione nei confronti dei migranti irregolari al confine con il Messico, e soprattutto in Europa, dove il nuovo governo italiano vuole rovesciare un sistema che ritiene profondamente iniquo, e per farlo cerca sponde in quei Paesi che più si sono opposti al sistema attuale di ripartizione delle quote.
Dopo il fallimento del mini-summit informale di domenica scorsa, la patata bollente passo ora al Consiglio europeo al via oggi a Bruxelles, dove occorrerà trovare un difficile compromesso che tenga conto delle esigenze e gli dei diversi Paesi seduti al tavolo.
In questo contesto, quali sono gli interessi italiani? Quali quelli degli altri Paesi? E infine, qual è il ventaglio di possibilità che i leader europei si troveranno a vagliare e a discutere?
Se lo sono chiesti anche i ricercatori dell’Ispi che hanno prodotto un focus dal titolo, “Migranti: Una bussola per il Consiglio europeo”.
L’Italia si presenta a Bruxelles con una proposta piuttosto ambiziosa, che prevede il “ricollocamento automatico verso i vari Paesi europei di tutti i migranti in arrivo dal mare”, in ossequio al mantra “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”. In sostanza, notano gli esperti Ispi, si chiede ai partner europei di accettare “una versione addirittura più estrema della revisione delle regole di Dublino già fallita a giugno”, che prevedeva il ricollocamento solo per quei migranti “la cui probabilità di vedersi riconoscere una forma di protezione (rifugiato o status sussidiario) fosse superiore al 75%”. Per capirsi, meno dell’8% delle richieste di asilo giunte in Italia.
Più facile potrebbe essere il recupero della proposta della Commissione, risalente al 2016 e ancora in standby, che prevedeva l’istituzione di un “frontiera marittima europea”. Anche questo schema prevedeva dei ricollocamenti automatici, “ma solo una volta superata una certa soglia di sostenibilità nazionale”. Tale proposta, nota l’ISPI, “permettere all’Ialia di ricollocare una quota tra l’80% e il 50% dei richiedenti asilo, a seconda della distribuzione degli arrivi.
C’è poi l’ipotesi, avanzata più volte da Salvini, di istituire degli hotspotgestiti da personale europeo che identifichino i migranti e valutino le richieste d’asilo. Secondo questo schema, notano i ricercatori Ispi, “i tempi di permanenza dei migranti andrebbero ben oltre le 72 ore previste per la sola identificazione, e gli hotspot si trasformerebbero in veri e propri campi”, lasciando aperta così anche la questione di dove collocarli. Anche ammettendo una convergenza in sede europea per l’apertura degli stessi in Paesi terzi, sarebbe necessario il consenso di questi ultimi, e i Paesi africani, Libia su tutti, hanno più volte manifestato la propria contrarietà in tema. Se il rafforzamento degli hotspot ‘italiani’ aumenterebbe non poco il carico sul nostro Paese, quelli esterni lo alleggerirebbero. Rimane tuttavia da capire, fa notare l’Ispi, con quali criteri i migranti cui è stata riconosciuta una protezione internazionale in questi centri esterni verrebbero poi distribuiti tra i paesi Ue. Inoltre, secondo il diritto internazionale, chi viene salvato in acque italiane non potrebbe essere in nessun caso diretto negli hotspot esterni qualora, come molto probabile, in cui chieda asilo.
Altra questione dirimente è quella dei cosiddetti “movimenti secondari”, come vengono definiti i tentativi dei migranti di spostarsi dal Paese dove hanno compiuto il loro ingresso nell’Ue. A porre con forza il problema è stato il ministro dell’interno tedesco, Horst Seehofer, che punta a fermare i migranti alla frontiera e di riconsegnarli al paese Ue da cui provengono (per esempio l’Austria) o al paese di primo ingresso. Uno sviluppo in questa direzione sarebbe, come facilmente intuibile, deleterio per un Paese di primo ingresso come il nostro, soprattutto se avvenisse senza progressi sul versante delle migrazioni primarie, ovvero gli sbarchi.
La questione non si porrebbe fermando i movimenti migratori all’origine, riducendo le partenze sul modello dell’accordo tra Ue e Turchia del 2016, che ha permesso la chiusura della rotta balcanica, e su quello del memorandum of understandingitalo-libico che risale invece al Luglio 2017 e che ha permesso una riduzione del 77% degli sbarchi. Secondo i ricercatori Ispi, “i dubbi – in questo caso – sono legati, da un lato, alla tenuta degli accordi con paesi o fragili, come il Niger, o fortemente instabili, come nel caso della Libia”, nonché al destino dei migranti che non riescono più a lasciare i Paesi di transito. Se da un lato un calo delle partenze sarebbe positivo per l’Italia, dall’altro eventuali accordi fornirebbero potenti armi di ricatto ad alcuni attori (vedi milizie libiche), per ottenere qualcosa dall’Italia.
C’è poi la richiesta, anche questa italiana, di non considerare più i porti italiani come i soli “porti sicuri” nei quali far sbarcare i migranti. I trattati, spiegano i ricercatori Ispi, “prevedono che le persone salvate siano condotte in un luogo sicuro, in un tempo ragionevole, ma non specificano quali siano questi luoghi sicuri”. Qui il nodo “è di natura principalmente politica”. Il rischio è che si replichino le situazioni che vedono le navi costrette ad attendere in mare in attesa di indicazioni sul porto dove dirigersi.
Infine, c’è l’annoso dibattito sulla lentezza dei rimpatri dei migranti che non hanno ottenuto la protezione internazionale. Ad oggi, ricorda l’Ispi, “i Paesi europei riescono a rimpatriare solo il 35% delle persone che riceve un ordine di via”. Il problema è reso complesso dalla necessità del via libera del Paese verso il quale dovrebbe avvenire il rimpatrio. L’Italia, che ha emesso decreti di espulsione in massima misura nei confronti di persone di nazionalità africana, ha le maggiori difficoltà, perché con quei Paesi non ha accordi. Inoltre, segnala il focus ISPI, occorre considerare il costo non indifferente dei rimpatri, pari a circa 5800 euro per migrante rimpatriato, per un totale, per l’Italia, di 700 milioni.
Dunque la questione, per l’Italia e per l’Europa, resta molto complessa. Sollecitati da Judy Dempsey, senior fellow di Carnegie Europe, diversi esperti internazionali hanno detto al loro su una possibile strategia europea per gestire le migrazioni.
Per Krzysztof Bledowski, Council director and senior economist alla Manufacturers Alliance for Productivity and Innovation, l’ideale sarebbe una “coalizione di Paesi volentierosi”, che si faccia carico di alleggerire le responsabilità dei Paesi di primo ingresso.
Per Piotr Burashead, dell’European Council on Foreign Relations, “la questione chiave è la volontà politica dei leader europei di affrontare il tema rispettando due principi fondamentali: le frontiere aperte nell’area Schengen e il diritto di asilo”. L’approccio Söder-Salvini-Orbán, che prevede il controllo permanente dei confini intra-Ue e i respingimenti nel Mediterraneo, “sarebbe la fine dell’Europa”. Piuttosto, suggerisce l’esperto, occorrerebbe velocizzare le procedure di asilo e le procedure di rimpatrio.
Meno critica delle attuali politica europee è Caroline de Gruyter, corrispondente della testata olandese NRC Handelsblad, secondo cui sta emergendo, in Europa, “un approccio unitario fatto di bastone e carota che finirà per far diminuire i tentativi di attraversamento del Mediterraneo”, facendo parallelamente perdere di rilevanza il dibattito sulle regole di Dublino.
Di approccio unitario non c’è traccia della riflessione di Koert DebeufDirector, del Tahrir Institute of Middle East Policy, per il quale siamo ancora lontani anni luce da un accordo, e “tutto quello che ci possiamo aspettare sono delle sterili dichiarazioni per mettere in sicurezza i confini esterni dell’Ue”. Dello stesso avviso Susi DennisonDirector dell’ European Power programme all’ European Council on Foreign Relations, secondo la quale un accordo è impossibile perché “sia i leader tedeschi sia quelli italiani sperano in un esito che ne soddisfi le rispettive esigenze politiche”.
Una soluzione si troverà, secondo Shada Islam, direttore di Europe and Geopolitics at Friends of Europe, se l’Europa farà i conti con tre realtà fattuali, “che la migrazione verso l’Europa non cesserà, che un’Europa che invecchia avrà bisogno di migranti per ragioni demografiche e fiscali e che la gestione della migrazione richiede cooperazione internazionale”.
Per Jana Puglierin, dell’Alfred von Oppenheim Center for European Policy Studies al German Council on Foreign Relations, una cosa è certa. Se l’Europa fallirà sul tema dei migranti, “farà il gioco dei populisti e delle forze euroscettiche”, a pochi mesi dalle fondamentali elezioni europee del Maggio 2019.