Il caccia F35 torna a far discutere. Arrivata alla guida del ministero della Difesa, Elisabetta Trenta, non ha voluto sottrarsi ad un tema che già in passato è stato oggetto di dibattito politico e che è cruciale nelle relazioni transatlantiche oltre che nella definizione delle capacità delle forze armate italiane. La ministra ha quindi scelto di parlare un linguaggio prudente ma anche molto chiaro: il programma non subirà variazioni sostanziali e comunque il governo si riserva di valutare tutti gli impatti in relazione all’interesse nazionale.
Proprio per capire di più su costi, benefici e necessità strategiche del programma abbiamo intervistato il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) e già capo di Stato maggiore della Difesa.
Generale, un osservatorio sulle spese militari italiane, sostiene che sarebbero solo 26 gli F35 per i quali l’Italia si è già impegnata, mentre per gli altri 64 fanno parte del programma non ci sarebbe ancora accordo sottoscritto dall’Italia.
Il programma viaggia con una contrattualistica di tipo americano. Mentre per gli Eurofighters i Paesi hanno sottoscritto degli impegni per comprare un certo numero di velivoli e l’impegno era vincolante si dall’inizio, per i programmi americani funziona diversamente. Ogni anno, per ogni esercizio finanziario, si decide quanti velivoli acquistare. C’è una programmazione di massima che corrisponde a una pianificazione a lungo raggio, ma non ci sono obblighi contrattuali. Per il programma F35 noi di anno in anno ordiniamo gli aeroplani, nell’ambito della pianificazione globale che comprendeva all’inizio 131 velivoli e che poi, improvvidamente, il governo Monti ha ridotto a 90 senza nessuna giustificazione strategica.
Il programma ha l’ambizione di garantire vantaggi non indifferenti per il comparto italiano della difesa.
La pianificazione ha alla base dei benefici industriali di cui la nostra industria gode. Avere pianificato 90 velivoli ha comportato la possibilità di partecipare alle varie gare di per recuperare dal punto di vista della produzione industriale quello che il Paese ha investito nell’acquisizione dei velivoli. Vale la pena ricordare che quando l’impegno era per 131 areoplani le prospettive di recupero industriale erano molto più allettanti rispetto a quelle che ci sono state offerte successivamente. Ciononostante, è chiaro che se l’impegno di pianificazione venisse disatteso o ridimensionato, ci sarebbe automaticamente un ridimensionamento delle nostre partecipazioni industriali, per cui non si tratta di penali in senso stretto, ma di penalizzazioni concrete che costerebbero molti posti di lavoro.
Fiore all’occhiello del programma è lo stabilimento italiano di Cameri, tra Novara e Malpensa.
Abbiamo ottenuto lo straordinario successo, politico e industriale, di avere in Italia il centro di assemblaggio e di verifica di Cameri. In questo centro vengono prodotti i velivoli per l’Italia e per l’Olanda, in base a un accordo con il governo olandese. Lo stesso accordo prevede che invece i motori di queste macchine vengano prodotti in Olanda. Le prospettive di ulteriori vendite di F35 in Europa, si parla per esempio del Belgio, sono tali che se ci muoviamo con intelligenza dal punto di vista politico, si potranno assemblare anche velivoli di altri Paesi nella nostra struttura, il che porterebbe lavoro per molti anni. Non solo, questo centro diventerebbe automaticamente il centro di manutenzione degli F35 in Europa per i prossimi 30 anni. Veda lei se è il caso di buttare tutto all’aria.
C’è poi l’aspetto strategico da valutare.
Infatti, non è per le ricadute occupazionali o industriali che si fanno i programmi militari. Questi si fanno per acquisire sistemi d’arma che servono alle forze armate. Oggi al mondo non esiste nulla che possa essere paragonato agli F35 e l’Italia ha bisogno di questi aeroplani per mantenere, non aumentare, le sue capacità operative in un mondo che è sempre più inquieto.
Sui media è emersa l’interpretazione per cui i tentennamenti sul programma F35 sarebbero parte di una strategia per mettere pressione sugli Usa e ottenere un appoggio sui dossier di Libia e Niger. Le sembra possibile?
Mi sembra una strategia da strateghi della domenica.
Cosa suggerirebbe al governo?
Io suggerisco al governo di riconoscere le esigenze operative delle forze armate italiane, come d’altronde è scritto - in modo piuttosto – bizzarro nel “contratto” sottoscritto da M5S e Lega. Si tratta cioè di riconoscere che questa esigenza può essere soddisfatta soltanto da questo sistema, che peraltro comporta indubbi benefici di tipo industriale con ricadute positive dal punto di vista occupazionale e tecnologico.