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Sul caso Ilva occhi ben aperti. I rischi sono elevatissimi. Ecco perché

ilva di maio istat

Questa mattina diverse autorevoli testate giornalistiche hanno riportato la notizia che la cordata Acciaitalia, o almeno alcune sue componenti come Jindal e Arvedi potrebbero fare una controfferta al rialzo sul Gruppo Ilva che lo scorso anno, con la gara indetta dalla gestione commissariale, era stata aggiudicata alla AmInvestco Italy guidata da Arcelor Mittal. Sulle procedure e l’esito dell’aggiudicazione il ministro Di Maio, su sollecitazione del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, ha chiesto all’Anac di verificarne la rispondenza a quanto richiesto a suo tempo dal bando.

Ora, è bene precisare subito che una controfferta – peraltro negata a quanto riportato sui giornali dai gruppi interessati – potrebbe avvenire nel caso si riaprisse una gara, o meglio se ne fosse bandita una nuova, dopo che si sia verificato (ineccepibilmente) che l’esito della precedente non sia stato pienamente rispondente ai contenuti del bando: ipotesi, quest’ultima, al momento non esistente e che, se messa in campo senza alcun fondamento, potrebbe dar luogo ad un lungo contenzioso giuridico dall’esito peraltro non scontato, dal momento che l’attuale aggiudicatario potrebbe contestare le ragioni e i termini di un nuovo bando.

Allora, pur essendo interessante capire come e perché sia uscita la notizia prima riferita – forse per una forma di pressione su Arcelor il cui piano ambientale e occupazionale soprattutto per lo stabilimento di Taranto non sembra affatto soddisfacente al ministro? – è più opportuno a nostro avviso, riflettere su quali modifiche al piano ambientale e industriale AmInvestco potrebbe introdurre per venire incontro a quanto affermato in sede ministeriale.

Intanto si potrebbe accelerare la copertura dei parchi minerali, al momento avviata dai Commissari, e i cui lavori si prevede di concludere nel 2020. Invece tecnici qualificati hanno rilevato in proposito che i lavori, pur trattandosi di un’opera ciclopica, si potrebbero concludere in sei-otto mesi, operando però con forti squadre di cantiere su tre turni giornalieri per sette giorni la settimana, valorizzando le migliori imprese locali, e senza trasferire i materiali in Friuli come sta facendo oggi la Cimolai almeno per alcune lavorazioni.

Inoltre, anche l’intervento per l’ammodernamento delle cokerie si potrebbe accelerare, così come sarebbe opportuno verificare (nuovamente) la possibilità di impiegare anche negli attuali altiforni il preridotto di ferro come aveva già iniziato a fare – con buoni risultati in termini di riduzione dell’inquinamento – Enrico Bondi quando era commissario dell’Ilva, supportato scientificamente dalla cattedra di Siderurgia del Politecnico di Milano. Naturalmente andrebbe accuratamente verificato il prezzo oggi praticato sul mercato internazionale del preridotto già pronto per l’impiego, o il costo del gas necessario per produrlo.
Arcelor in un’udienza al Senato nella precedente legislatura aveva dichiarato di conoscere tale tecnologia e di usarla in un suo impianto ad Amburgo, anche se non riteneva conveniente impiegarla a Taranto.

Poi, se in prospettiva si volessero introdurre nel sito ionico uno o più forni elettrici, si dovrebbe valutare con grande attenzione la difficoltà di reperire oggi sul mercato rottami di ferro per alimentarli e i costi di impianto dei nuovi macchinari.

Tutti gli interventi appena descritti hanno un costo presumibilmente aggiuntivo rispetto al prezzo di aggiudicazione del gruppo Ilva. In tal caso – ma senza violare normative comunitarie sugli aiuti di Stato – la Cassa depositi e prestiti potrebbe, come pare volesse già fare, divenire socia con quote rilevanti (e non simboliche) di AmInvestco in cui entrerebbe anche il gruppo Intesa San Paolo?

Un dato assolutamente imprescindibile, però, deve essere ben presente a tutti gli attori in campo in questi giorni e vorremmo dire in queste ore: lo stabilimento ionico è ai minimi termini per volumi di produzione e livelli di manutenzioni ordinarie e straordinarie, così come sono allo stremo operai, tecnici, quadri e dirigenti della grande fabbrica, e tutti coloro che lavorano nelle aziende del suo indotto.

Allora si faccia attenzione: nel mentre si compiono verifiche dell’Anac sull’aggiudicazione del Gruppo Ilva, la situazione a Taranto come a Genova e Novi Ligure, potrebbe collassare irrimediabilmente in termini di tenuta produttiva, sicurezza e impatto ambientale, dando ragione – purtroppo – a coloro che da tempo vanno avvertendo (restando inascoltati) che ogni ritardo in realtà finisce col fare il gioco della concorrenza e degli ambientalisti più irriducibili che vorrebbero chiuso l’impianto di Taranto, senza se e senza ma.

Insomma, dum Romae consulitur Saguntum expugnatur.


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