Un personaggio anticonformista che ha rivoluzionato le relazioni industriali, che non cercava lo scontro ma lo accettava e da lì partiva per arrivare a soluzioni più coerenti con i tempi in cui operava. Il ritratto di Sergio Marchionne che si evince dalle parole di Maurizio Sacconi è quello di un uomo, un manager, capace di leggere il proprio tempo e di andare oltre, verso il futuro. Sacconi era ministro del Lavoro all’epoca degli accordi di Pomigliano e Mirafiori, quando la Fiat di Marchionne propose un nuovo contratto per il rilancio degli stabilimenti, svincolandosi da Confindustria e proponendo i referendum in fabbrica.
Ecco, allora, il ricordo di Maurizio Sacconi in una conversazione con Formiche.net.
La figura di Marchionne ha, da sempre, suscitato reazioni contrastanti, così anche ora. Secondo lei a cosa è dovuto?
Credo che lui abbia avuto il coraggio di scelte manageriali non conformiste a partire dalle relazioni di lavoro. In Italia sparigliò un certo conformismo per il quale non si poteva decidere contro il veto di una organizzazione, non cercando ma accettando lo scontro pur di realizzare quella efficienza produttiva che poteva giustificare l’assegnazione agli stabilimenti italiani di nuovi prodotti nel gruppo multinazionale che si era formato.
Si può dire che abbia cambiato le relazioni industriali italiane in modo imponente?
Ha dimostrato che da un lato bisogna adattare leggi e contratti nazionali alle concrete circostanze aziendali e che non sempre questo è possibile farlo con accordi unanimi. L’importante che ci sia la maggioranza dei lavoratori a condividere queste scelte. Il governo allora sostenne quella politica, da un lato con generose detassazioni delle componenti del salario legate ai nuovi moduli orari e ai premi di produzione, e dall’altro con l’articolo 8 della manovre estiva del 2011, quando demmo ai contratti aziendali, come appunto quelli di Pomigliano o Mirafiori, in presenza di determinate finalità come l’incremento produttivo e occupazionale o la salvaguardia dello stesso stabilimento, ecco in presenza di queste finalità demmo forza a questi accordi, per cui anche se presi a maggioranza si applicavano a tutti, la cosiddetta efficacia erga omnes. Cogliemmo inoltre l’occasione per stabilire che i contratti aziendali potevano derogare a leggi e contratti nazionali.
Fu dello stesso periodo l’uscita da Confindustria…
L’uscita da Confindustria fu conseguente, perché egli non si sentì appoggiato. Prevalse in Confindustria quel conformismo che lui invece spezzò e, obiettivamente, il contratto dei metalmeccanici di allora era una gabbia troppo rigida per consentire la conduzione ad efficienza degli stabilimenti. Quindi aveva bisogno di disdire quel contratto non idoneo e di farne uno applicabile al suo gruppo industriale.
Guardando le vicende odierne, il decreto dignità intende aumentare i risarcimenti per i licenziati senza giusta causa e si è aperto lo scontro tra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno dei partiti, come il Pd. L’esperienza di Marchionne insegna anche su questi temi?
Il ministro del Lavoro viene da Pomigliano, quindi credo che abbia vissuto nella comunità quello che potremmo chiamare il miracolo di Pomigliano, cioè uno stabilimento molto degradato che in pochissimo tempo è diventato uno dei più efficienti del mondo a dimostrazione che è possibilissimo, anche nel mezzogiorno, se si creano determinate condizioni realizzare produzioni competitive e attrarre investimenti. Io confido che anche se lui era molto giovane allora, quella esperienza sia ricordata con tutta la positività che merita e spero che, in Parlamento, trovi correzioni il decreto dignità anche a proposito di quella misura di risarcimento che non ha eguali in nessun paese europeo. Anche perché le norme dell lavoro devono tendenzialmente convergere in Europa, se vogliamo favorire l’occupazione e attrarre investimenti.
Cosa può insegnare l’azione di Marchionne?
L’esperienza di Marchionne deve insegnarci a evitare leggi rigide, contratti nazionali rigidi, e a cercare molto il dialogo, l’accordo tra le parti nella dimensione aziendale. Il legislatore sia sussidiario: anche quando fa norme, le renda cedevoli in presenza di un accordo tra le parti.