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Il Pakistan vuole i sauditi in Obor. Ecco perché

Una folta delegazione di alti funzionari sauditi (tra loro il ministro delle Finanze e quello dell’Energia) si trovano in Pakistan da oggi per mettere “le base per un partenariato molto grande”: “A Dio piacendo, dall’Arabia Saudita arriveranno in Pakistan investimenti importanti per le nostre infrastrutture”, aveva commentato il ministro dell’Informazione pakistano.

Poco più di una settimana fa, il neo-primo ministro, Imran Khan, (in foto), era volato a Riad per due giorni di incontri che hanno avuto un tema principale: la Cina. Islamabad ha chiesto ufficialmente al Regno di essere il terzo partner nel progetto Cpec,  acronimo di China-Pakistan Economic Corridor, ossia il corridoio che fa da branca pakistana dell’enorme piano geopolitico-commerciale cinese Obor, One Belt One Road, conosciuto anche come Nuova Via della Seta.

Pechino ci ha già messo sopra 60 miliardi di dollari, da usare per costruire centrali elettriche, autostrade importanti, ferrovie nuove e potenziate, porti di capacità più elevata. L’obiettivo è diretto: il Pakistan dovrebbe diventare la principali delle rotte terrestri che collegano la Cina occidentale al mondo. Ma non sono i soldi che servono (o almeno non sono solo quelli): ai pakistani serve protezione politica.

Il mandato del premier Khan era iniziato male su questo fronte: ci sono effettivamente dubbi sui progetti del Cpec, legati all’impronta di dominazione cinese che potrebbe restare sul Paese, tanto che il ministro del Commercio del nuovo governo s’era fatto uscire una frase infelice in cui faceva capire che forse era meglio rallentare, sospendere addirittura, e darsi il giusto tempo per esaminare il dossier. Ma la Cina tempo non è ha: vuole portare Obor al massimo regime operativo il più in fretta possibile; pressa. A quel punto, dopo il polverone che ha seguito quelle dichiarazioni, il ministro ha chiarito che i suoi commenti sono stati presi fuori dal contesto, e funzionari pakistani si sono dovuti occupare di rassicurare Pechino che non ci sarebbero stati ritardi. Ma l’esportazioni pachistane in Cina stanno crollando, mentre quelle cinesi in Pakistan crescono, e Pechino sta effettivamente saturando l’industria metallurgica di Islamabad: una “autostrada a senso unico” vengono definiti i rapporti tra i due Paesi, super sbilanciati verso l’Impero celeste.

C’è anche un contesto da tenere in primo piano: il Pakistan è una alleato americano, con cui però Washington vive una relazione complicata, che non è migliorata – anzi, è molto peggiorata – con l’amministrazione Trump. Islamabad vorrebbe smarcarsi, la Cina è certamente la meta, ma farlo con troppo aperto coinvolgimento è una mossa rischiosa sia per il rischio colonizzazione cinese, sia per la rottura con gli americani. Anche a questo si deve il coinvolgimento saudita. Il Paese asiatico è considerato come un cortile da Riad, in cui piazzare addirittura (su consenso americano) anche armi di dissuasione come le atomiche, e i rapporti non mancano. In più i sauditi, all’opposto dei pakistani, da quando Donald Trump s’è seduto alla Resolute Desk dello Studio Ovale, hanno ristretto l’alleanza strategica con gli americani – a suon di affari commerciali, investimenti, lealtà trumpiana, allineamenti, e grazie a tutto ciò giocano a mani libere (ma coordinate con gli Usa) anche su altri tavoli come quello cinese e russo, e potrebbe farlo dunque anche su quello Obor-Pakistan dando protezione a Islamabad.

Coinvolgere i sauditi nel progetto Cpec è una sorta di garanzia per il Pakistan, che ad agosto ha subìto i primi effetti della linea-Trump e non vuol rischiare di peggiore la situazione con l’avvicinamento cinese: 300 milioni di aiuti militari sono stati tagliati (ma altri 800 restano ancora attivi quest’anno) dopo che da inizio anno il presidente si lamenta pubblicamente che i 14 miliardi di dollari che gli americani hanno fornito dal 2002 a oggi in assistenza alle forze armate pakistane sono troppi, soprattutto visti i risultati (ossia, vista la scarsa efficienza con cui combattono il terrorismo, la corruzione all’interno dell’esercito, e in alcuni casi la collusione con gruppi radicali).

Washington vuole alleati leali, per Trump il Pakistan non lo è, ancora peggio se si cinesizza ancora di più. A Islamabad temono passi falsi: ma la Cina è anche una sponda per il continuo confronto con l’India — che invece sta stringendo l’amicizia con gli Stati Uniti.

 

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