Il Pd decide di non decidere: Maurizio Martina viene confermato reggente, ma di congresso e nuovo segretario si parlerà a luglio.
Nell’assemblea convocata all’Hotel Ergife di Roma per definire il percorso da seguire per rinnovare il vertice del partito passa a maggioranza la linea dei renziani di rinviare il nodo alla prossima seduta. Con fischi all’indirizzo del presidente Matteo Orfini, ma anche con le minoranze divise sulla modifica dell’ordine del giorno che sposta la discussione sulla situazione politica del Paese. L’assemblea convocata alle 10.30 inizia con un’ora e mezzo di ritardo.
Tra le parti, nonostante i contatti dei giorni scorsi, ci sono distanze profonde. I sostenitori di Maurizio Martina hanno pronto un ordine del giorno per eleggerlo segretario, i renziani fanno sapere di aver raccolto 398 firme su 701 accreditati per chiedere subito il congresso. I big del partito cercano, fino all’ultimo, di trovare una mediazione per evitare la conta. Che alla fine c’è, ma sul rinvio, non sul segretario. Orfini presenta la proposta di “cambiare la natura dell’assemblea per dedicarla a una discussione politica a fronte di quello che sta accadendo nel Paese, alla possibile nascita di un governo M5s-Lega”.
A favore si esprimono in 397, 221 sono i contrari, trasversali rispetto agli schieramenti, e 6 gli astenuti. Un risultato accolto da fischi e “no” urlati da una parte della platea. In prevalenza si tratta degli orlandiani e dell’area di Emiliano. “Non sono d’accordo – ha spiegato Andrea Orlando – credo che si doveva comunque dare un segnale formale”. A favore, invece, l’area di Dario Franceschini, soddisfatto perchè è stato ribadito che le dimissioni dell’ex segretario sono “irrevocabili”. Dal palco, nella sua relazione, Martina traccia il quadro della situazione, attacca il governo “della restaurazione e non del cambiamento” su cui lavorano Lega e M5s e chiede di poter portare il partito al congresso anticipato, “un congresso molto importante”, in “maniera unitaria e forte”, ma senza doversi difendere dagli attacchi interni. “Se ci si dà fiducia, in particolare in questa fase, se tocca a me, anche se sono poche settimane, tocca a me. Ve lo chiedo con il massimo della sincerità”, conclude, mentre una parte dell’assemblea scandisce il coro: “Segretario, segretario”. Renzi lo ascolta, poi lascia l’Egife, così come fanno, tra gli altri, il premier Paolo Gentiloni e il ministro Marco Minniti.
La relazione di Martina non piace però a molti dei renziani, che minacciano di votare contro o di far mancare il numero legale. Dal palco Orlando, Piero Fassino (Areadem), Francesco Boccia (Frontedem) tentano di evitare la spaccatura e lanciano un appello per un voto unitario a favore del reggente. E anche lo stesso Renzi fa sapere di essere “contento” perchè “unità” e “pace” garantite dall’intesa sono un “risultato importante”, senza rinunciare a rivendicare (mentre la minoranza parla di “fine dell’era Renzi”) che “ha vinto la linea” sua e di chi, “come Gentiloni e Minniti”, chiedevano di “congelare il dibattito interno”. Alla fine gli appelli sortiscono l’effetto desiderato e i renziani votano, senza grande entusiasmo, a favore. Martina incassa il via libera dell’assemblea (294 a favore, 8 astenuti) e resta reggente fino alla prossima assemblea, probabilmente a luglio. Ma la pax democratica è fragilissima, lascia nuovi pesanti strascichi ed è destinata a durare poco.
(Testo-Askanews)
(Foto: Umberto Pizzi-riproduzione riservata)