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Evo Morales, il presidente boliviano “del pueblo”, si dimette. Le foto

Il presidente eletto in Argentina, Alberto Fernandez, ha denunciato “il colpo di Stato” avvenuto in Bolivia contro il presidente Evo Morales, promettendo di difendere “con forza la democrazia in tutta l’America Latina”. “Noi difensori delle istituzioni democratiche ripudiamo la violenza che ha impedito a Evo Morales di concludere il proprio mandato presidenziale e ha alterato il corso del processo elettorale”, ha scritto Fernandez sul proprio account Twitter.

Sulle strade di La Paz, ci sono state scene di giubilo da parte di milioni di boliviani. I manifestanti hanno gridato “Yes, we could” (“Sì, ce l’abbiamo fatta”), rievocando il riuscito slogan della campagna elettorale di Barack Obama. E hanno esploso petardi e fuochi di artificio. Alla fine è stato il voltafaccia dell’esercito a scrivere la parola fine, con il capo delle forze armate che ha detto a Morales che doveva andarsene nell’interesse della stabilità del Paese.

Ma mentre per molti rappresentava un leader non democratico aggrappato al potere, per altri, in particolare i boliviani poveri, era un presidente che dava voce a milioni di persone. Primo leader indigeno nella storia della Bolivia, è riuscito a rendere una società profondamente disuguale più inclusiva. I suoi sostenitori hanno parlato di colpo di Stato, i detrattori di fine della tirannia. Comunque si profilano giorni di grande incertezza nella nazione più povera del Sud America. La Bolivia doveva fare i conti da settimane con proteste anti-governative, da quando si sono diffuse notizie di frodi elettorali. Le tensioni sono divampate per la prima volta nella notte delle elezioni presidenziali dopo che lo scrutinio delle schede è stato inspiegabilmente interrotto per 24 ore. Il risultato finale ha dato a Morales poco più del vantaggio di 10 punti percentuali di cui aveva bisogno per vincere subito le elezioni al primo turno. Almeno tre persone sono morte durante gli scontri che ne sono seguiti: alcuni ufficiali di Polizia si sono “ammutinati” per unirsi ai manifestanti.

L’Organizzazione degli Stati americani, che ha monitorato le elezioni, ha annunciato ieri di aver trovato prove di manipolazione dei dati su larga scala e di non poter certificare il risultato delle precedenti elezioni. Durante la giornata, le pressioni su Morales sono continuate a salire, visto che molti dei suoi alleati politici si sono dimessi, alcuni citando timori per la sicurezza delle proprie famiglie. Il capo dell’esercito, il generale Williams Kaliman, ha inoltre invitato Morales a rassegnare le dimissioni “per consentire la pacificazione e il mantenimento della stabilità”. I militari hanno affermato che condurranno operazioni per “neutralizzare” tutti i gruppi armati che hanno attaccato i manifestanti.

Il leader dell’opposizione Carlos Mesa – arrivato secondo alle elezioni del mese scorso – ha ringraziato i manifestanti per “l’eroismo della resistenza pacifica”. In un tweet, ha descritto questo sviluppo come “la fine della tirannia” e una “lezione storica”, aggiungendo “Viva la Bolivia!”. Il Messico ha informato che sta valutando la possibilità di concedere asilo politico a Morales.

(Testo Askanews)

(Foto: Imagoeconomica-riproduzione riservata)


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