L’obiettivo è prendere il 40% dei voti, l’unico modo per governare senza “caos” e “inciuci”. Il segretario del Pd Matteo Renzi torna per la prima volta a parlare in pubblico dopo l’assemblea convocata pochi giorni dopo la batosta referendaria e davanti agli amministratori locali Dem prova a risvegliare e rilanciare il partito.
L’ex premier arriva a Rimini poco dopo l’intervento a Roma di Massimo D’Alema, sabato 28 gennaio, che ha lanciato i “comitati” per “un nuovo centro-sinistra”, pronti a “ogni evenienza”. Una dichiarazione di guerra che non scuote il segretario, che anzi ostenta un atteggiamento di distacco, senza neppure nominare il “lider maximo”: “Ai giornalisti che si aspettano una replica, dico riprovate, sarete più fortunati. L’avversario politico di questa comunità non è chi cerca di fare polemica all’interno della nostra area ma di chi prova a giocare le carte non del populismo ma della superficialità e della paura”.
Dunque in primo luogo Beppe Grillo, che il segretario attacca a testa bassa, definendolo “spregiudicato-pregiudicato” e il voto al M5s un “salto nel buio”. Il contrario rispetto al Pd che Renzi vuole fatto di “proposte”. “Noi – ha detto – vinciamo le elezioni confrontandoci sul programma, il salto nel buio nella scelta 5 stelle, che alcuni cittadini hanno fatto, come a Roma, porta diretto nel tunnel delle scie chimiche. Parlare dei problemi e non delle risposte può pagare a livello elettorale ma se noi siamo timidi. Il compito di chi fa politica – ha aggiunto – non è enunciare i problemi, è risolverli. È inutile che dal villaggio turistico alla moda sul mare africano l’ultimo dell’anno uno spregiudicato-pregiudicato arrivi a dirmi che il problema è la povertà”. Oltre a Grillo, nella “competizione a tre” che caratterizzerà, secondo Renzi, le prossime elezioni ci sarà da vedere cosa sarà del centrodestra: “Vedremo se faranno accordi, se sarà un’area più legata al Ppe o se Berlusconi e Salvini si rimetteranno insieme”.
Sulle elezioni e la legge con cui andare al voto, Renzi glissa, scherza. “Cosa ci aspetta da qui a un anno? Le elezioni prima o poi si fanno, tre mesi prima o tre mesi dopo. Se non si dichiara guerra a nessuno da qui a un anno prima o poi si vota”. E il tema della legge elettorale è solo uno “specchietto per le allodole” perchè “il punto non è il giorno delle elezioni, se votiamo con la legge elettorale uscita dalla Consulta o la legge x o y. Il punto è come ci arriviamo”.
Il Pd è “contrario ai grandi inciuci”, assicura, rilevando la ‘singolarità’ del fatto che “oggi tutti sono preoccupati per le larghe intese mentre prima c’era il rischio deriva autoritaria.
Si mettano d’accordo… O si ha paura dell’uomo solo al comando o delle larghe intese”. Adesso per scongiurarle e per evitare il “caos” il partito deve puntare al 40% (e così dicendo Renzi, implicitamente, dà via libera alla legge uscita dalla Consulta).
“Possiamo farlo noi, possono farlo gli altri – spiega -. Noi ci siamo già arrivati: una volta è stata una grande vittoria, una volta una grande sconfitta. Siamo abituati ad arrivare al 40% se smettiamo di guardare al nostro ombelico. Sappiamo come si fa, non so se ce la faremo”. Il Partito democratico deve dunque vincere “la sfida tra chi pensa che politica sia fare cose e chi pensa che sia solo gridare la propria rabbia” ripartendo “da chi fa proposte e non solo da chi sa insultare”, ha aggiunto, con un messaggio anche all’interno del Pd. A cui serve aria nuova: per questo bisogna “aprire porte e finestre del Nazareno” e gli amministratori devono essere “la spina dorsale del futuro Partito democratico”.
Intanto (in attesa della nuova segreteria, che ancora non arriva) l’11 febbraio Renzi incontrerà i circoli e il 13 riunirà la direzione in cui sarà fatto anche il punto sulle trattative sulla legge elettorale. Da lì potrebbe partire l’accelerazione verso le urne.
Testo Askanews
(Foto Imagoeconomica-Raffaele Verderese)