Angela Merkel, Theresa May, Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni si sono incontrati venerdì 19 ottobre al Consiglio europeo a Bruxelles.
I leader europei hanno dato il via libera all’avvio dei preparativi interni per aprire la fase dedicata al commercio dei negoziati sulla Brexit, nonostante su alcuni punti il divorzio tra Londra e Bruxelles ancora non è del tutto chiaro. La notizia è stata confermata dal presidente del Consiglio dell’Unione europea, Donald Tusk. “Adottate conclusioni Brexit. Luce verde dei leader ai preparativi interni dell’Ue a 27 per la fase due”, ha scritto Tusk su Twitter.
Intanto, il premier italiano Paolo Gentiloni, durante la sua conferenza stampa alla fine del vertice Ue di Bruxelles, ha detto di non “vedere un ‘no deal’ al termine dei negoziati in corso sulla Brexit […] e non credo che ci sarà un ‘no deal’”, ovvero un’uscita disordinata del Regno Unito dall’Ue senza in accordo sui termini del divorzio. Il presidente del Consiglio italiano ha anche spiegato che la decisione presa venerdì dal Consiglio europeo di cominciare i preparativi tecnici “interni” per il negoziato sulle relazioni future con il Regno Unito (dopo la prima fase che riguarda esclusivamente i termini del divorzio), non significa dare il via alla seconda fase delle trattative. Perché questo avvenga, ha ricordato, dovranno prima essere conseguiti “progressi sufficienti” nella prima fase, e in particolare sul dossier più spinoso, quello della cifra che Londra dovrà pagare per rispettare gli impegni finanziari già presi a 28 prima del referendum. Una questione che, se restasse irrisolta diventerebbe una “spada di Damocle” che peserebbe proprio sul negoziato sui rapporti futuri.
“L’Italia – ha ricordato Gentiloni – è per tradizione un paese amico del Regno Unito, per ragioni storiche, perché gli inglesi hanno partecipato alla Liberazione, perché tra Londra e Roma c’è sempre stata una dinamica di collaborazione e per gli interessi comuni e le centinaia di migliaia di nostri cittadini che sono in Gran Bretagna”. Ma “tutti attorno al tavolo sono consapevoli del fatto che in non accordo sarebbe un errore, innanzitutto per i cittadini britannici, e poi per l’Ue”.
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