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Guerri, Parenzo e Sarzanini portano il caso Dreyfus sul palco dell’Eliseo. Foto di Pizzi

Dreyfuss
Dreyfuss

La serata inizia con la padrona di casa Elisa Greco che fa un accenno alle fake news per iniziare a parlare del tema in questione: l’affare Dreyfus. La presidente della Corte Simonetta Matone fa un’introduzione avvincente, parlando della differenza tra epoche: i processi mediatici che oggi ci interessano sono il finto matrimonio di Pamela Prati e la storia di Harry e Meghan che divorziano dalla Casa Reale. “Entrambi – afferma Matone – si sarebbero potuti risolvere con un chi se ne frega”.

Nel frattempo i protagonisti siedono nelle loro postazioni: Giordano Bruno Guerri in veste di testimone dell’accusa, Fiorenza Sarzanini nei panni del testimone della difesa e infine lui, Alfred Dreyfus, interpretato da David Parenzo.

Ci troviamo dentro il Teatro Eliseo di Roma, di fronte allo spettacolo dei Processi alla Storia, format teatrale ideato da Elisa Greco che questa volta ha visto sul palco i protagonisti del caso Dreyfus. La storia parla quindi dell’affare che ha portato la Francia di fine ‘800 a dividersi tra chi era in difesa di Dreyfus, come Emile Zola con il suo J’accuse, e chi condannava il capitano dell’Alsazia di origini ebraiche per aver commesso crimini di spionaggio a favore della Germania. Le accuse si riveleranno poi infondate nonostante le notizie diffuse dai giornalisti.

Parenzo si muove di continuo. Mani in tasca, piede ballerino mentre tiene le gambe incrociate. Beve, si tocca gli occhi, scavalla le gambe per poi riaccavallarle di nuovo. Si sbraccia appena si nomina il nome Dreyfus. Guerri rimane imperscrutabile, fermo nella stessa posizione di quando si è seduto. Sarzanini sfoggia scarpe Louboutin e un vestito che si ferma sopra le ginocchia che, quando si siede, lascia intravedere gambe “di una fotomodella”, come chiosato dal pubblico ministero Fabrizio Gandini. Attirano l’attenzione di tutti.

Parte la difesa: “Presidente mi alzo – spiega Parenzo-Dreyfus – ma non cambio il risultato”. Risa del pubblico mentre il giornalista guarda la sua statura. “Mi sembra di stare in una puntata di Porta a Porta – dice Parenzo guardando Sarzanini e Matone – in cui potremmo parlare di Carminati, di Cogne, e di altri omicidi”. Matone non gradisce e lo invita ad andare avanti. Parenzo continua tornando sul tema delle bufale: “Le fake news non sono una cosa nuova ma antica. La balla, per diventare virale, deve essere verosimile. Se troppo grossa non passa. Quindi è perversa perché credibile”.

Guerri si tocca il naso, muove le gambe e fa quindi notare dei calzini di un viola chiaro tendente al rosa. Sarzanini accavalla le gambe, si tocca gli occhiali. Quando si accenna alla fine della storia di Dreyfus, Parenzo, a questo punto seduto, non sa più che posa prendere e finisce per appendere le mani ai bordi della giacca. Per poi tirare fuori il taccuino. Si agita sulla sedia.

Esame del teste, controesame. Si sta parlando della difesa della libertà di stampa. Di Dreyfus come vittima dello stato francese, vittima della verità. A quel punto Parenzo si stropiccia gli occhi, mette le mani in tasca e inizia un’accusa verso i giornali dell’epoca che però declina ai giornali di destra di oggi. “Quei giornali, come La Libre Parole dell’epoca di Dreyfus, mi ricordano Liberò, La Verité, Maurizió Belpietró”. Parte un fischio dal pubblico.

Guerri prende parola. “Chi controlla l’opinione pubblica ha il potere. Non al contrario”. Ha una voce quasi stanca, ma è la sua. Inizia a parlare della guerra civile all’epoca dell’Unità d’Italia. Cita la lotta al brigantaggio, e approfondisce quel rubare e razziare come protesta verso il Regno d’Italia. Interviene la presidente: “Guerri, lei si deve attenere alla domanda fatta. Se partiamo da Garibaldi stiamo messi male”. Va bene, risponde Guerri. A quel punto cita Giampaolo Pansa: “Quanto abbiamo ingannato i nostri lettori con la bandiera fantasma dell’obiettività?”.

Il pm fa delle domande al testimone dell’accusa e, col sorriso, afferma che avrebbe messo sul curriculum di questa sua intervista a Guerri. “L’antisemitismo – spiega Guerri – era all’epoca normalissimo in Europa tanto che Farinacci scrisse: la Chiesa ci ha educato all’antisemitismo”, facendo riferimento a Roberto Farinacci, leader del Partito nazionale fascista. Guerri prosegue attualizzando il concetto ai giorni nostri. “Per esempio di cosa scriveranno i giornali domani? Della scuola di Roma in cui c’erano classi di ricchi, di media borghesia e di gente più povera. Domani tutti si scandalizzeranno, come è giusto che sia, ma nessuno dirà, per non offendere i propri lettori, che la situazione è determinata dalla società. I giornalisti non lo scriveranno perché si attaccano ai propri lettori”.

Parenzo apre e chiude le gambe velocemente. Si chiude la giacca, la riapre. Mette le mani conserte e poi incrocia le dita. Guerri è fermo, col suo naso invisibile cui avvicina spesso le dita. “È un crimine aver fuoriviato opinione pubblica – chiosa l’avvocato difensore Cesare Placanica – è un crimine avvelenare piccoli e umili”.

Il format di Greco si conclude sempre con un verdetto del pubblico. In questo caso non bisognava esprimersi sulla colpevolezza o sull’assoluzione di Dreyfus, ma sul ruolo da condannare o meno del giornalismo. Le fake news dell’epoca sono state colpevoli della costruzione di un nemico – Dreyfus – da perseguire perché ebreo? Il pubblico in sala ha detto in maggioranza di no, quello online, seguito dagli spettatori di Radio Luiss, ha invece risposto al contrario: i media hanno creato appositamente un nemico comune per condannare il capitano.

(Testo: Sveva Biocca)
(c) Umberto Pizzi – Riproduzione riservata


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