Ufficialmente fuori dal governo e, a questo punto, almeno formalmente anche dalla maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Alla fine non c’è stato alcun colpo di scena: come si era vociferato con forza negli ultimi giorni Denis Verdini e i suoi sono rimasti a secco. Nell’elenco degli oltre 40 sottosegretari nominati nel corso del Consiglio dei Ministri di stamattina non compare alcun esponente del gruppo politico che fa capo all’ex braccio destro di Silvio Berlusconi. Neppure l’ormai ex viceministro all’Economia Enrico Zanetti che – prima dell’estate – ha siglato un’alleanza con Verdini. Il suo era l’unico nome che Gentiloni – nel nome della continuità con Matteo Renzi – si era dichiarato disponibile a confermare in squadra. Così però non è andata, per il no dello stesso Zanetti anticipato oggi in un’intervista al Corriere della Sera: “Amareggiato no, stare in questo governo non sarebbe statao una festa. Però è sbagliato aver tradito tutte le premesse. Quello di Gentiloni doveva essere un governo con una maggioranza più larga. E’ finito per essere un Renzi bis senza Renzi“.
Il nodo del contendere è chiaro e anche Zanetti lo ha riconosciuto nel corso della sua chiacchierata con il Corriere. Ala avrebbe voluto un riconoscimento effettivo della sua partecipazione alla maggioranza di governo. Il che – tradotto in termini politici – voleva dire almeno due posti da sottosegretario oltre, appunto, alla conferma di Zanetti all’Economia. Gentiloni, però, ha optato per la continuità con l’esecutivo Renzi. Una scelta inevitabilmente dettata anche dagli equilibri interni al Partito Democratico dal quale in questi giorni – specie dalla minoranza di Bersani e Speranza – si sono levati numerosi appelli affinché i verdiniani fossero esclusi dalla compagine governativa. Il nuovo presidente del Consiglio alla fine li ha accontentati, anche perché in questa fase politica di grande caos – con lo spettro delle elezioni politiche dietro l’angolo la questione Pd ha assunto un’importanza anche maggiore che in passato.
Una netta battuta d’arresto, forse definitiva, per il progetto Ala di Verdini che decise di abbandonare Forza Italia all’indomani del rottura del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Il suo gruppo politico nasceva – scrive oggi su Repubblica Goffredo De Marchis – con l’obiettivo di breve termine di garantire al segretario Pd numeri stabili al Senato nell’ottica di creare in futuro il tanto discusso e mai nato Partito della Nazione. Un’idea di cui, però, si è persa ogni traccia dopo la sconfitta referendaria del 4 dicembre scorso che ha segnato l’inizio della fine per l’Ala verdiniana. Ora i numeri che eventualmente mancheranno al governo Gentiloni li potrà garantire, a seconda dei casi, lo stesso Berlusconi, tornato a indossare negli ultimi giorni i panni dell’esponente politico votato al dialogo e alla collaborazione. Il tutto tenendo ben presente la volontà di Renzi di tornare alle urne il prima possibile.
E adesso cosa farà Verdini? Qualcosa in questo senso lo ha anticipato Zanetti nella sua intervista di oggi al Corriere: “L’aggregazione di Ala e di Scelta Civica, più i 1.800 comitati Liberi Sì (quelli di Marcello Pera e Giuliano Urbani, ndr) è solo il primo passo di un percorso politico. Da oggi lavorerò per il rilancio del progetto di un centro moderato e liberale che stia lontano sia dai lepenisti, sia dai moderati che portano acqua ai lepenisti“. Molto comunque dipenderà dalla legge elettorale che sarà approvata dal Parlamento. Perché un conto sarebbe il varo di un proporzionale puro – su cui è d’accordo anche Berlusconi – e tutt’altro conto, invece, il ritorno al Mattarellum, per natura molto poco conveniente per i partiti più piccoli.