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La Germania si avvia a varare la nuova grande coalizione tra la Cdu di Angela Merkel, indiscussa regina della politica tedesca vicina al terzo mandato da cancelliera, e i socialdemocratici, ancora amareggiati per la sconfitta ma decisi a recuperare terreno.

Dopo due mesi di negoziato restano da chiarire alcuni punti fondamentali, tra cui le modalità d’introduzione del salario minimo, il pedaggio autostradale per stranieri e un aggiustamento del sistema pensionistico. Aspetti che verranno poi sottoposti al voto al voto dei 475mila iscritti dell’Spd, che suggelleranno o affosseranno l’intesa.

Ma mentre sulla politica interna ci sono ampi spazi di dibattito, su quella europea esce su tutti fronti vincente la linea Merkel, una linea che gli elettori teutonici hanno premiato e che i socialdemocratici non potranno far altro che subire anche nel corso della prossima legislatura.

LE RILUTTANZE SOCIALDEMOCRATICHE
Se tutto procedesse secondo i piani, come spiega il tedesco Spiegel, il nuovo governo dovrebbe vedere la luce prima di Natale. Il rischio di un inciampo dopo all’ultimo ostacolo – le consultazioni che si stanno svolgendo alla Willy Brandt House, la sede del quartier generale federale dell’Spd a Berlino – è basso, ma la vera incognita è rappresentata dal referendum tra gli iscritti socialdemocratici che dovranno avallare l’accordo con la Cdu. Approvazione – scrive il Sole 24 Ore – “al momento tutt’altro che scontata, data la riluttanza della base del partito a stringere un altro patto con la signora Merkel, dopo quello del 2005-2009, che si rivelò una morsa fatale per la Spd in termini elettorali. Una reticenza, questa, supportata anche dai sondaggi pubblicati dal Wall Street Journal.

CONQUISTE E CESSIONI DELL’SPD
Finora però i socialdemocratici non sono risultati sconfitti. L’Spd ha ottenuto l’istituzione di un salario minimo, posto come elemento irrinunciabile di una sua partecipazione al governo, limitazioni ai contratti a tempo, un tetto agli affitti nelle grandi città, ma ha dovuto rinunciare a all’aumento delle aliquote sui redditi più alti. Restano divergenze da appianare su pensioni e sulla modalità della concessione della doppia cittadinanza agli immigrati, richiesta osteggiata dai democristiani.

L’EUROPA CHE NON C’È
Tra tante incognite, l’unica certezza è che la grande assente nel negoziato tedesco è l’Europa, o almeno quella che desidererebbe vedere la maggior parte degli Stati membri eccetto la Germania, che non ha nessuna intenzione di ridimensionare la politica di rigore imposta a Bruxelles. La spiegazione per Alessandro Merli, autore di un commento sul quotidiano di Confindustria, risiede nel fatto che “i valori della disciplina fiscale e della competitività attraverso le riforme sono gli stessi anche per” l’Spd, “perché lo sono della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica tedesca“. Se ci sarà qualche aggiustamento – aggiunge il corrispondente da Francoforte – “sarà ai margini“. Perché, spiega, “con le elezioni europee così vicine gli anti-euro di Alternative für Deutschland possono approfittarne. Rientra in questa tattica anche la soluzione populista di far pagare pedaggio solo agli automobilisti stranieri sulle strade tedesche“. Per l’Europa, conclude Merli, “la lunga parentesi delle elezioni è stata un’attesa vana“.

I primi pilastri delle larghe intese a Berlino

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