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Difficilmente la Cina cambia perché il mondo attorno cambia. È più probabile che accada il contrario: le decisioni cinesi hanno da almeno tre decenni un impatto molto forte sugli equilibri del pianeta. È normale quindi che le aspettative sui risultati raggiunti dal Plenum del Partito Comunista negli scorsi giorni fossero così alte.

POCA QUALITÀ
L’analisi quantitativa dei dati ci dice che nel prossimo decennio il PIL cinese sorpasserà stabilmente quello americano, nonostante una ripresa che negli USA sta arrivando a suon di energia a basso costo e ritorno in patria della manifattura. L’analisi qualitativa però resta in chiaroscuro: il cinese medio vive ancora ben al di sotto degli standard del mondo occidentale e gli squilibri della piramide demografica rischiano di compromettere nel medio periodo la stabilità dei conti e la sostenibilità dello stato sociale.

SPAZIO AL MERCATO
Leggere quindi in filigrana il verboso comunicato finale dei lavori del Plenum non è un esercizio retorico. In uno dei passaggi chiave è scritto che nel prossimo decennio il mercato sarà la forza preponderante dell’economia cinese e non più, come sancito nella scorsa riunione, una “forza di base”. Lo Stato ridurrà progressivamente il suo ruolo nella pianificazione del mercato e nel controllo delle grandi conglomerate nazionali.

ATTRARRE INVESTIMENTI
Queste rimarranno un importante motore dell’economia, aiutando a perseguire anche gli interessi strategici all’estero, ma non saranno le uniche. L’attrazione di investimenti è una priorità per Pechino, interessata a superare il modello della delocalizzazione produttiva che implica bassi salari e un ridotto trasferimento di know how. La Cina ha bisogno di crescere e maturare nel suo complesso, nella sua capacità di esprimere competenze e di aumentare il reddito pro capite in maniera più omogenea.
Ridurre la presenza pubblica nelle aziende di Stato significa anche ridurre i privilegi per gli alti papaveri.

UN NUOVO CORSO
Il nuovo corso dovrà quindi sconfiggere le resistenze dei burocrati pubblici, dei sempre più potenti governatori regionali e degli amministratori delle casseforti di Stato.
Il Partito ha dovuto fare una scelta: favorire il consenso o il dinamismo di una società più aperta, con tutti i rischi che ne possono conseguire. Come al solito in Oriente si proverà a raggiungere un equilibrio tra i due obiettivi nel tempo e senza traumi. Ma nell’immediato il segnale più chiaro va verso un arretramento dello Stato.

IL MALCONTENTO DELLA CLASSE MEDIA
La scelta è stata dettata dal malcontento di una classe media che in Cina cresce al ritmo di circa cento milioni di individui ogni anno. Una borghesia che guarda con fastidio alla corruzione e ai privilegi, che non vuole mettere in discussione l’ideologia ma che cerca nuove occasioni di emancipazione economica. D’altronde negli ultimi anni la preoccupazione a Pechino era cresciuta: le “primavere arabe” e i cambiamenti politici nel cortile di casa di Malesia o Birmania hanno messo in allarme i vertici cinesi per le conseguenze dell’onda lunga delle rivolte di piazza contro i tiranni.

IL MOMENTO DEL PLENUM
Da adesso in avanti sarà il Plenum del partito, un organo politico quindi, ad accentrare il potere di coordinamento e di indirizzo delle riforme, lasciando al Governo l’attuazione delle linee guida. Il partito diventa quindi una struttura parallela all’esecutivo, necessaria a garantire la stabilità del sistema. Sono stati creati due gruppi di lavoro permanenti, costituiti da uomini di fiducia del Presidente Xi e del Primo Ministro Li Keqiang, la mente economica di questo nuovo corso. Il primo si occuperà proprio di verificare i progressi in materia di riforme (garanzie per i contadini, urbanizzazione controllata, rivalutazione dello yuan sui mercati, possibile fine della politica del figlio unico); il secondo sarà molto simile ad un Consiglio per la Sicurezza Nazionale, incaricato di elaborare le nuove linee guida in materia di sicurezza e difesa in patria e all’estero.

UNA GRANDE SPERANZA
È un meccanismo di governance non sconosciuto in Asia. Già nell’Indonesia di Suharto o a Singapore, i “Gruppi funzionali” avevano di fatto commissariato i Governi in diverse fasi storiche.
Adesso si tratterà di verificare quanto gli “spiriti animali” si faranno spazio nell’economia cinese e se il sistema sarà in grado di assorbire gli inevitabili shock che ne deriveranno.
Più che un “Grande Balzo in avanti”, questa fase della storia cinese assomiglia quindi ad una “Grande Scommessa”. Coraggiosa e necessaria. Ma pur sempre una scommessa.

La Grande Scommessa della Cina che si ispira un po' a Singapore

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