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Il momento politico italiano è complicato, su tutti i fronti. Il Pdl fratturato tra futuristi già oltre Berlusconi leader e lealisti decisi a tutto pur di non rimanere fuori dai giochi; il Pd in confusione con la faida del tesseramento a gettare un’ombra scomoda sulla corsa alla segreteria (già?) quasi vinta da Matteo Renzi; il centro popolare che prosegue a tessere la tela, con la sponda francese della nouvelle Dc per bypassare in un colpo solo Sarkozy e Le Pen. E nel mezzo sempre lui, Beppe Grillo che potrebbe avvantaggiarsi (o meno) dall’impasse complessivo.

Qui Pdl
Sembrava che la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore fissata per il 27 novembre avesse in qualche modo fatto da collante per ricompattare (anche solo per un istante) le due anime del Pdl. E invece le parole di Sandro Bondi (“se le colombe accettano la decadenza, pronto a lasciare il partito”) acuiscono uno scontro ormai aperto e pare irreversibile. L’ex ministro Mariastella Gelmini osserva che “quanto sta accadendo è un vulnus inaccettabile per la democrazia, rispetto al quale chi tace è complice”. Chiamati in causa, gli alfaniani replicano. Fabrizio Cicchitto osserva invece di non condividere “l’affermazione drastica secondo cui c’è una stretta connessione fra la decadenza e la crisi di governo”. A cui risponde nel merito e nel metodo il capo dei lealisti Raffaele Fitto: “Mi chiedo quali sono le ragioni per cui il Pdl dovrebbe continuare a sostenere il governo”. E allora il congresso che dovrebbe, nelle intenzioni, sancire il ritorno a Forza Italia con Marina già pronta un attimo dopo (dicono i berlusconiani della prima ora) ad assumere la leadership, non dovrebbe presentare complicazioni, visto che i numeri sono dalla parte dei lealisti. Secondo i rilievi tecnici, al consiglio nazionale, l’ala più vicina a Berlusconi avrebbe già in tasca oltre 600 firme. Che varrebbero un voucher contro gli alfaniani al governo. I quali invece mostrano di tenere la barra dritta sull’imprescindibilità del sostegno a Enrico Letta forti di numeri pro maggioranza da reperire altrove, con l’obiettivo non troppo segreto di superare le festività natalizie per “chiudere” la finestra elettorale di maggio in concomitanza con le europee, dove più di qualcuno individua la data delle prossime elezioni politiche.

Qui Pd
La questione del tesseramento, al netto di proclami di vittoria (ieri Cuperlo si dava più del 40% di connessi), è uno scoglio non da poco in quest’ultimo scorcio di anno democratico. Dodici mesi, in verità, niente affatto facili con il tema del rimpianto a ritornare ciclicamente ogni due per tre, come tra l’altro dimostrano le pagine (in libreria da ieri) di “Giorni bugiardi” scritto dagli storici collaboratori di Pierluigi Bersani (Stefano Di Traglia e Chiara Geloni). In cui, al di là delle ricostruzioni sui tentati contatti con Grillo, emerge una sana impotenza di fronte ad un partito dilaniato da correntismi e rancori passati (e presenti). Dove Matteo Renzi se da un lato sembra avere il conforto dei congressi locali, dall’altro fatica a scrostarsi di dosso (agli occhi della nomenclatura) l’immagine del battutista tutto slogan e spot. Senza dimenticare la “campagna acquisti” a trecentosessanta gradi da Bolzano a Nardò, che qualche commentatore gli sta imputando in questi giorni. Anche se, nei fatti, è l’unico elemento veramente nuovo nel quadro politico italiano.

Qui popolari
Due settimane fa sembrava che l’operazione popolari italiani in ottica Ppe fosse praticamente cosa fatta, salvo poi scontrarsi con il sì di Berlusconi alla fiducia governativa e con propositi moderati rimandati (solo) di qualche mese. Sono giorni frenetici questi, non solo in prospettiva delle europee di maggio (la campagna elettorale, sotterranea, è iniziata ormai da un pezzo) quanto anche sul tipo di messaggio che dall’Italia potrebbe partire: euroscetticismo o eurocambiamenti? Bruxelles prosegue nell’osservazione rigida dei conti italiani, ma ciò non toglie che un certo vento di centro sta iniziando anche in Europa a soffiare, come dimostra la neonata Carta dei valori in Francia. Scelta civica, pur evitando chirurgicamente nuove polemiche sulla stampa, prosegue nel suo dilemma interno (Monti, o non Monti?). Con un’assenza di chiarezza che non facilita l’approccio con un elettorato che, mai come questa volta, attende le elezioni europee di maggio con scetticismo: verso l’Ue e più in generale verso la politica italiana.

Ri-vince Grillo?
Stando così le cose, logica vorrebbe che una prateria di consensi attendesse Beppe Grillo e le sue stelle che, nel frattempo, si sono tramutate in spine. Un primo bilancio di questi primi nove mesi di “gestazione” a Cinque stelle appare quantomeno controverso. La comunicazione, punto di forza del comico genovese, non funziona come dovrebbe: l‘appalto al blog di Grillo se per certi versi è sinonimo di centralismo leaderistico, per altri non riesce a incamerare tutte le istanze, di eletti e elettori. Numerosi sono stati (e forse oggettivamente troppi) i corto circuiti parlamentari, tra espulsioni, linee politiche multiforme, abbandoni e tentativi di parlamentarizzarsi come la vecchia politica (si vedano le polemiche degli ultimi giorni sui familiari di deputati assunti nello staff). A favore senza dubbio il tema del rifiuto del finanziamento pubblico, vessillo grillino intoccabile. Ma se alla vigilia delle elezioni europee più controverse degli ultimi vent’anni, il partito che ha fatto battaglie contro i poteri forti e contro la moneta unica non riesce a presentare una proposta analitica sui vari punti, credibile e non populista, quando lo farà più?

twitter@FDepalo

Grillo gode fra i litiganti delle larghe intese

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