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Paese fondatore dell’Unione europea, nel club del G7 e a maggior ragione del G20. All’Italia non resta che aggrapparsi alle effigi del tempo che fu. La realtà è che, quanto a competitività, nella classifica mondiale scende, e resta dietro ai più impensabili, come le Barbados. Colpa della politica instabile, del mercato del lavoro troppo rigido, del fisco alle stelle? Di tutto un po’. Nessuna esagerazione, gli ingredienti ben mescolati all’italiana fanno un cocktail micidiale. E, con un crollo di sette posizioni all’anno, il recupero appare sempre più improbabile.

La classifica

L’Italia, con il balzo all’indietro più forte rispetto ad ogni altro Paese, finisce infatti sotto Barbados e Lituania nella graduatoria globale sulla competitività, stilata come ogni anno dal World Economic Forum, organizzazione che raggruppa le maggiori imprese e multinazionali mondiali. Al 49esimo posto, contro il 42esimo dello scorso anno, la Penisola si ritrova appena sopra il Kazakhstan, e come sempre in questa pubblicazione finisce lontanissima dai maggiori partner europei e dalle economie avanzate con cui solitamente si mette a confronto. La Germania è quarta, in crescita di due posizioni, la Gran Bretagna decima, la Francia 23esima.

I difetti italiani

L’Italia perde posizioni a causa di peggioramenti nei vari segmenti analizzati dal Wef, ma in generale, secondo quanto recita il rapporto, a causa “della mancanza di direzione politica lo scorso anno, che ha aumentato l’incertezza a carico delle imprese e indebolito la competitività del Paese”. I voti peggiori la Penisola se li vede affibbiare su sistema istituzionale, giudiziario, trasparenza amministrativa, tasse, debito pubblico, regole su assunzioni e licenziamenti, regole sugli investimenti dell’estero e accesso al credito: tutte voci in cui segna piazzamenti attorno al 140 posto sui 148 paesi monitorati. Se nell’efficienza del mercato del lavoro Roma si piazza al 137esimo gradino, (peggio anche della Grecia 127esima), nello sviluppo del mercato finanziario si posiziona invece 124esima.

I primi e gli ultimi della classe

Gli Usa salgono di due gradini al quinto posto, mentre prima si conferma ancora una volta la Svizzera, paese dove ha sede il Wef e dove si svolge il suo forum annuale (nella località sciistica di Davos). Seconda è Singapore e terza la Finlandia, con cui la top 3 resta la stessa del 2012. Ultimo in Graduatoria il Chad 148 esimo crollato dalla 139esima posizione, mentre la Guinea è penultima e il Burundi terzultimo.

Migliorano anche Hong Kong, da nona a settima, e il Giappone, da decimo a nono. Perdono invece terreno la Svezia, da quarta a sesta, e l’Olanda, da quinta a ottava. Tra le principali economie emergenti, il Brasile cede otto posti ed è 56esimo, la Russia ne guadagna tre ed è 64esima, l’India risale di uno ed è 60esima, la Cina resta stabile al 29esimo posto, mentre il Sud Africa ne perde uno al 53esimo. Tra i Paesi europei investiti dalla crisi del debito, la Spagna è 35esima (-1), il Portogallo è 51esimo (+2) e la Grecia 91esima (+5).

Il focus sull’innovazione

Poco importa se la classifica di Davos ci fa guadagnare qualche punto rispetto a quella pubblicata a maggio dall’Institute for Management Development di Losanna, dove Roma risultava 44esima. “L’innovazione – ha avvertito il presidente e fondatore del Wef Klaus Schwab – è diventata ancor più cruciale per consentire a una economia di stabilire la prosperità futura”. Ma la classifica delle priorità italiane è sottosopra, e gli ostacoli burocratici-amministrativi rendono l’innovazione un obiettivo, non un punto di partenza.

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