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A detta di molti osservatori il risultato delle elezioni cambogiane di domenica 28 luglio sarà l’ennesima vittoria del primo ministro Hun Sen e del Partito del popolo cambogiano. Dal 1985 Hun Sen è l’uomo forte del Paese, capace di restare al governo con coalizioni di segno diverso e quando necessario forzando la mano.

La grazia concessa dal re al leader dell’opposizione Sam Rainsy e il suo ritorno dall’esilio in Francia dov’era riparato per sfuggire al carcere hanno però galvanizzato gli avversari del premier.

Secondo analisti citati dal Phnom Penh Post, per la prima volta dal 1993, anno delle prime elezioni multipartitiche, il partito del primo ministro rischia di vedere diminuire i propri seggi all’Assemblea nazionale, in cui oggi conta 90 parlamentari su 123.

A beneficiare potrebbe essere proprio il Cambodia National Rescue Party (CNRP) di Sam Rainsy, nato dalla fusione tra il Partito per i diritti umani e il movimento che prende il nome dal leader tornato dall’esilio.

Il voto di domenica, cui parteciperanno otto partiti, divide il Paese in due fazioni, scrive il Cambodia Daily. Da una parte quelli che guardano agli ultimi 20 anni come a un periodo di stabilità politica e finanziaria, durante il quale sono state create opportunità di business e in cui c’è stato lo sviluppo delle infrastrutture. Sono stati in pratica gli anni della prosperità per la Cambogia devastata dal regime dei Khmer rossi tra il 1975 e il 1979 e dal conflitto negli anni Ottanta del secolo scorso.

Di contro c’è chi guarda agli ultimi due decenni come al periodo della corruzione, dell’autoritarismo, della violazione dei diritti umani e degli espropri. Secondo i dati delle organizzazioni non governative, negli ultimi tredici anni oltre 700mila cambogiani sono stati vittime di espropri forzati. In molti sono addirittura stati costretti a lasciare il regno andando a ingrossare le file dei 300mila cambogiani emigrati in Thailandia in cerca di lavoro, senza avere il permesso di tornare a casa per le elezioni. Voti che andrebbero con molta probabilità al CNRP che ha fatto della lotta al land grabbing uno dei punti del proprio programma.

In questo contesto il Cambodia Daily avanza tre ipotetici scenari per il dopo voto: un ulteriore avanzamento del CPP; una vittoria del partito al governo pur con un arretramento nel numero dei deputati, ma comunque conquistandone a sufficienza per restare al potere; la sorpresa elettorale della vittoria del CNRP. Ipotesi quest’ultima remota. La regolarità del voto è già stata messa in discussione. Per Human Rights Watch l’intero processo elettorale è strutturato per essere a favore del CPP. Si contestano la correttezza delle liste elettorali, le disparità nella copertura mediatica tra forze di governo e opposizione, la mancanza di un meccanismo indipendente che possa dirimere eventuali dispute.

Lo stesso Sam Rainsy si è visto sbarrata la strada della candidatura, e addirittura della possibilità di votare, perché ormai passato il limite per iscriversi alle liste elettorali.

Sul risultato di domenica potrebbero inoltre pesare i cambiamenti nella composizione demografica del Paese. I votanti rispetto al 1998 sono 4 milioni in più. Le settimane che hanno preceduto i voto non hanno visto i livelli di violenza che caratterizzarono le precedenti tornate. In particolare nelle aree urbane si è assistito all’attivismo delle generazioni più giovani. Almeno 3,5 milioni di votanti avrà tra i 18 e i 30 anni, per almeno la metà si tratterà della prima volta ai seggi. È proprio tra di loro, tra quanti non hanno memoria del regime di Pol Pot e “fratelli” e dei due milioni di morti per fame, stenti e torture, tra i ragazzi che non sembrano interessati al processo che vede imputati i maggiorenti del regime, il CPP ha difficoltà a far valere l’immagine di forza che ha riportato la stabilità.

Intanto il rischio di frodi e di un giro repressivo contro gli oppositori ha spinto alcuni parlamentare statunitensi a chiedere di fermare gli aiuti diretti Usa alla Cambogia. La tattica della “carota e del bastone” non è nuova, ha scritto Nadia Bulkin del Carnegie Endowment for International Peace. La fine degli aiuti non sbarrerà tuttavia la strada a Hun Sen, continua. In mancanza di aiuti statunitensi il governo di Phnom Penh potrà contare sulla Cina, che già vanta buone relazioni con il Paese come dimostrato lo scorso anno durante la presidenza cambogiana dell’Asean, quando l’Associazione della nazioni del Sudest Asiatico si trovò in stallo nel dirimere le dispute territoriali tra Pechino e alcuni membri dell’organizzazione come Filippine e Vietnam.

Dell’arretramento degli Usa in Cambogia soffrirebbe anche il riposizionamento di Washington nella regione asiatica, spiega Bulkin che esorta gli Stati Uniti a guarda alla strategia inclusiva seguita dall’Asean in Birmania, oggi alle prese con un processo di riforma e apertura, sebbene segnato dalle contraddizioni.

Cambogia al voto, tra Usa e Cina

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