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La Tunisia è in lutto nazionale. La violenza per le strade corre il rischio concreto di vanificare gli sforzi compiuti in occasione della rivoluzione dei Gelsomini, quando il moto popolare rovesciò Ben Alì. Ma a tre anni di distanza da quegli eventi, il Paese vive nuovamente nella paura. Sei membri della Guardia Nazionale sono stati uccisi a sangue freddo, mentre si preparavano a interrogare un soggetto sospettato di ospitare un gruppo armato in località a Aoun vicino l’abitazione di Sidi Bouzid , il leader della rivoluzione tunisina ucciso pochi mesi fa. Così ogni tentativo di raggiungere un terreno comune di dialogo tra il governo dominato dal partito islamista Ennahda e l’opposizione viene messo in discussione da reciproci “scambi di cortesie”.

Crisi infinita
È da giorni che è scattato nel Paese l’allarme per il rischio di imminenti attacchi terroristici in un contesto già di crisi, con le autorità tunisine alle prese dallo scorso 25 luglio con una impasse politica seguita all’uccisione di Mohamed Brahmi, deputato del Movimento popolare, partito dell’opposizione laica. L’opposizione invece punta il dito contro gli islamisti di Ennahda al potere, accusati di “lassismo” nella lotta alla corrente salafita, in particolare il movimento Ansar al-Sharia. Lo stesso che secondo alcuni osservatori sarebbe responsabile della morte di Brahmi e prima di lui, il 6 febbraio 2013, di un altro oppositore, Chokri Belaid.

Anniversario
L’uccisione dei sei agenti della Guardia nazionale è accaduta proprio il 23 ottobre, che corrisponde all’anniversario delle prime elezioni due anni dopo la caduta del vecchio regime di Zine El Abidine Ben Ali. E che è stato preceduto da altro sangue versato lo scorso 17 ottobre, quando due ufficiali della Guardia Nazionale sono stati uccisi mentre tentavano di fare irruzione in un’abitazione a Goubellat vicino a Beja, a 70 km da Tunisi, uccidendo nove salafiti. Episodi che hanno avuto come immediata conseguenza quella di alimentare la tensione nel Paese scuotendo l’intera area del nord Africa.

In piazza
Ieri circa 5mila manifestanti, per la maggior parte studenti riuniti in viale Habib Bourguiba, sono scesi in strada per chiedere le dimissioni del governo. Tra gli slogan della folla, quelli che facevano riferimento al capo di Ennahda, Rached Ghannouchi, definito “assassino”.

Qui Ennahda
In una breve dichiarazione il leader Ali larayedh ha ribadito l’impegno di Ennahda “a dare al governo la complementarità nelle diverse fasi”, ma ha ribadito di non volersi “far sottomettere” da nessuno. Il riferimento è alla richiesta di dimissioni del governo entro tre settimane dalla data di inizio del dialogo, in cambio della promessa di completare la stesura della costituzione e della futura legge elettorale. Passaggio propedeutico per giungere in serenità alle prossime elezioni.

Da Tunisi
Giunta a Tunisi da poche ore, la scrittrice italiana Ilaria Guidantoni, raggiunta al telefono riferisce che per ora si registra una situazione di calma apparente nella capitale. “L’avenue Bourguiba è presidiata dalla polizia e scattano al primo stop non rispettato. L’allerta è alta. L’ambasciata francese è circondata, mentre turisti che sembrano inconsapevoli passeggiano e riempiono i caffè. La temperatura è alta in tutti i sensi. Trionfa l’estate tunisina ma arriva l’eco di scontri in corso all’Università La Manouba tra fazioni opposte di studenti, sostenitori dei salafistes e della laicità. Ancora nulla di fatto per il governo”.

Tunisia, come e perché sale la tensione nelle piazze

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