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Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, un’analisi di Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Arcana creditorum. Stanno filtrando in questi giorni, un po’ alla volta, le minutes delle riunioni del Fondo monetario internazionale impegnato nella valutazione degli aiuti alla Grecia. Era tanto tempo fa, parliamo della primavera del 2010, ma i conti continuiamo a pagarli. Anche l’Italia, e pure parecchio salati: la solidarietà a senso unico imposta dal duo Merkozy all’intera Europa ha favorito i creditori franco-tedeschi e danneggiato gli incolpevoli cittadini italiani. Rei, come sempre, messi in prima fila quando c’è da cospargersi il capo di cenere, anche se non hanno peccato.

Se ai debitori si appioppano i rating e non si fanno sconti, i creditori volteggiano sempre nell’empireo, e non vengono mai individuati. Si susciterebbe l’invidia sociale, magari un astio mal riposto. Ed è per questo che le statistiche arrivano con lentezza, giusto quando l’acredine si dovrebbe essersi dissolta.

La lezione dei numeri

I numeri che servono, però, ci sono ormai tutti: meglio ripassare la lezione. In Grecia, tutto è andato nel più curioso dei modi, da tempi immemorabili. Inutile prendersela con una ammissione nell’Eurozona frettolosa e superficiale: i soldi non le sono mai mancati, piovevano dall’estero senza tregua. Anno dopo anno. Prendiamo le statistiche ufficiali del Fmi ed osserviamo la bilancia dei pagamenti correnti a cominciare dal 1989. Forse poteva bastare, per capire che nei conti c’era qualcosa che non andava: rosso fisso, ininterrotto, per trent’anni di fila. In un crescendo esponenziale, a partire dal 2000: -7,7% del Pil in quell’anno, poi ancora -7,2% nel 2001, – 6,5% e -6,6% nel 2002 e nel 2003, un minimo miglioramento nel 2004 con il -5,9%, e poi su di gran carriera verso l’empireo: -7,4% del pil nel 2005, -11,2% nel 2006, -14,4% nel 2007 fino al -14,7% del 2008. Percentuali da capogiro, ma non per gli investitori esteri, francesi e tedeschi in grande spolvero.

Gli investimenti in Grecia

Qui la storia si fa interessante, e vale la pena di raccontarla tutta. I dati sono sempre quelli ufficiali, niente di riportato per sentito dire: sono quelli del Fmi, nel Reported Portfolio Investment Assets. Arrivano sempre col contagocce, e purtroppo i più recenti arrivano solo al 2011. Ma sono più che sufficienti, per quanto ci riguarda. Cominciamo dalla Francia: nel 2001, i suoi investimenti in Grecia assommavano ad appena 10,4 miliardi di dollari, ma sono cresciuti in continuazione; nel 2009 sono arrivati a ben 82,4 miliardi di dollari. Neanche fosse stato il Campo dei Miracoli di Pinocchio, la Grecia, con gli zecchini d’oro giù a pendere dai rami degli alberi. In otto anni, otto volte tanto: per un Paese il cui Pil, sempre nel 2009, era di 321,8 miliardi di dollari, erano forse affidamenti un tantino incauti. Dare la colpa all’euro, però, fa sempre un gran comodo. Il debito estero greco, usando i dati della Banca nazionale di Atene, è passato dai 143 miliardi di euro del 2002 (di cui 81 miliardi di debito pubblico) ai 416 miliardi di fine 2009 (di cui 229 miliardi di debito pubblico). Un debito estero di gran lunga superiore al Pil avrebbe dovuto impensierire qualcuno.

La Volpe francese e il Gatto tedesco

Fossero stati solo i francesi, si potrebbe pensare ad un abbaglio. Ed invece, insieme alla Volpe francese, troviamo pure il Gatto tedesco. Stessa storia: nel 2001, gli investimenti di portafoglio in Grecia erano di 14,5 miliardi di dollari. Nel 2009 erano arrivati a 39,4 miliardi. Poco più che raddoppiati, stavolta. Anche gli italiani non sono stati da meno: dai 2,8 miliardi di dollari del 2001 si sono arrampicati fino ai 17,8 miliardi del 2009. Anche gli italiani, otto volte la posta iniziale.
Con la crisi viene giù tutto, utilizzando come scusa la scoperta che i conti pubblici erano stati manomessi. Primo pacchetto di aiuti, nell’aprile del 2010: i Paesi dell’Eurozona mettono insieme 80 miliardi di euro, e 30 li aggiunge il Fondo monetario internazionale. Neppure un anno dopo, bisogna rimettere mano alla scarsella: servono altri 130 mliardi di euro. E neppure bastano.

Quello strano ritardo

Si conferma il dubbio, a suo tempo manifestato, sulle reali motivazioni di così tanto ritardo e di così scarsa avvedutezza nel gestire la situazione delle finanze pubbliche greche e di così ottuso ottimismo nel prevedere che il sostegno sarebbe stato sufficiente ed i sacrifici imposti alla popolazione sostenibili: si doveva dare modo agli investitori privati di ritirare i propri crediti. Ed infatti, tra il 2009 ed il 2011, gli investimenti di portafoglio in Grecia da parte francese si sono ridotti di 68,6 miliardi di dollari, ritornando all’ammontare in essere nel 2001; quelli di parte tedesca sono diminuiti di 27 miliardi, portandosi ad una consistenza ancora più bassa; quelli italiani sono scarrocciati di 13,4 miliardi di dollari, ripristinando anche in questo caso il livello del 2001.

Il conto per gli italiani

Per i cittadini italiani, è arrivato al conto: ci spetta partecipare agli aiuti per il 19,18%. Ci si parametra al Pil, che disciplina anche la partecipazione a capitale della Bce: sono almeno 40,82 miliardi di euro. A fronte di una esposizione creditizia italiana in Grecia di 17,8 miliardi di dollari, abbiamo coperto molto più del 200%. Avessimo rimborsato, uno per uno, gli improvvidi investitori italiani, la disavventura greca ci sarebbe costata meno della metà.

Chi e quanto ha aiutato la Grecia

Il Gatto e la Volpe hanno recuperato: la Germania (che paga per una quota del 27,13%) contribuisce agli aiuti per 56,9 miliardi di euro, che coprono circa la metà dei suoi investimenti di portafoglio in essere nel 2009. Per i cittadini tedeschi, uno sconto niente male. La Francia (che paga per una quota del 20,38%) si accolla aiuti per 42,8 miliardi di euro: copre all’incirca un terzo degli investimenti a rischio. Un colpo da maestri, non c’è che dire. Il duo Sarkozy sapeva bene ciò che faceva: a noi italiani i soliti rimbrotti, fino allo scherno irriverente, a loro i nostri soldi.

Il conto ellenico per l’Italia

L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia, che ha fatto il punto a giugno scorso del debito accumulato dall’Italia per gli aiuti ai Paesi dell’Eurozona, indica quota 50,8 miliardi di euro. Sono gli aiuti per i quali abbiamo già provveduto, tra Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Cipro. Un giro lungo, che parte dalle nostre tasche. Comodamente, ci si finanziava almeno tre volte la rete a banda ultralarga in tutta la penisola: sarà per la prossima crisi.

Conclusione

La solidarietà verso gli altri popoli europei ci fa onore e la generosità non ci difetta, perché paghiamo anche i conti altrui. I crediti bilaterali ci verranno restituiti a babbo morto, i prestiti erogati attraverso l’EFSF forse, il capitale versato per la costituzione dell’ESM no di certo. Consoliamoci: abbiamo rimediato con il Fiscal Compact e la Banking Union, altre nuvole sulle nostre teste. Arcana creditorum.

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