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L’opposizione cambogiana non accetta i risultati del voto e la nuova affermazione del primo ministro Hun Sen e del suo Partito del popolo. Sam Rainsy, leader del Cambodia National Rescue Party chiede che i voti siano ricontati e che venga aperta un’inchiesta su presunte irregolarità durante la consultazione.

La vittoria di Hun Sen, il più longevo tra i premier in carica in Asia, al potere dal 1985, ha confermato le aspettative della vigilia, ma in realtà segna l’arretramento del partito al governo, passato da 90 a 68 seggi su 123 parlamentari, secondo i risultati preliminari.

A guadagnare consensi è il Partito della salvezza del 64enne Sam Rainsy trainato dal ritorno dall’esilio francese del proprio leader, cui tuttavia è stata sbarrata la strada della candidatura. Spariscono invece dall’arco parlamentare i monarchici del Funcinpec, primo partito vent’anni fa quando si tennero le prime elezioni libere nel travagliato Paese uscito dal regime dei Khmer Rossi nel 1979 e dagli anni di conflitto che seguirono la caduta di Pol Pot e l’invasione vietnamita.

Almeno il “15 per cento degli aventi diritto – circa 1,2 milioni di cambogiani – non hanno potuto votare a causa di irregolarità nelle liste”, denuncia l’opposizione. Si parla di persone segnate due volte nelle liste, nomi che invece mancavano dagli elenchi, elettori fantasma.

C’è stata inoltre una polemica sull’inchiostro indelebile sulla punta delle dita che doveva contraddistinguere chi aveva già votato e che tuttavia, come documentato dai reporter del Phnom Penh Post, poteva essere lavato via, dando l’opportunità di recarsi una seconda volta al seggio. Definirle elezioni libere e regolari è “veramente difficile”, ha spiegato all’agenzia France Presse il direttore per la Cambogia di Transparency International, Kol Preap. Né sono mancati i momenti di tensione e scontri tra polizia ed elettori cui era stato impedito di esercitare il proprio diritto, fomentati tra l’altro dalla retorica anti-vietnamita che ha segnato la campagna elettorale e dalla quale lo stesso Sam Rainsy non si è tirato indietro.

I vietnamiti ci impediscono di votare”, è stato uno degli slogan dei manifestanti. Da sempre il timore di perdere la propria autonomia a favore di Hanoi è uno dei fantasmi che rincorrono l’immaginario cambogiano. Una minaccia quella dello straniero incarnato nel nemico yuon, nomignolo offensivo affibbiato ai vietnamiti, che assillò lo stesso Pol Pot. E l’accusa di essere al soldo di Hanoi può calzare per il premier Hun Sen, militante dei Khmer rossi in gioventù in un passato del quale non sono ancora stati chiariti bene tutti gli aspetti e poi posto alla guida di un governo filo-vietnamita negli anni Ottanta del secolo scorso.

Secondo diversi analisti, la frenata elettorale del Partito del popolo indica tuttavia altro: la necessità di un cambio di passo dallo stile di governo autoritario, dalla corruzione, dal nepotismo – con i figli del premier pronti a raccoglierne l’eredità politica – che hanno contraddistinto la politica di Hun Sen.

“I cambogiani vogliono che ci sia una voce in Parlamento che bilanci quella del Governo”, ha spiegato Kem Ley, ricercatore e analista politico, citato dal Wall Street Journal. “I cittadini non hanno più fiducia nella capacità del Cpp di guidare il progresso del Paese”.
La crescita economica al 7%, la stabilità, il processo di decentralizzazione hanno garantito al Governo il sostegno delle aree rurali, ma non hanno mitigato il malcontento per gli espropri forzati né i timori per il degrado ambientale e per la sostenibilità di un modello di sviluppo nel quale a trainare il Paese sono soprattutto il settore agricolo, in particolare le piantagioni di canna da zucchero, e il tessile che dà lavoro a 450mila operai e l’anno scorso ha contribuito all’80% delle esportazioni cambogiane.

A sfavore del Governo ha giocato anche la demografia. Un terzo degli elettori ha meno di 30 anni, una fascia d’età che non ricorda le atrocità e le sofferenze passate e sui quali non ha presa l’immagine del Cpp come forza capace di riportare la stabilità nel Paese.

A salutare con favore la vittoria di Hun Sen è invece la Cina. La Cambogia fa parte del gioco di equilibri geopolitici in Asia tra Pechino e Washington. Come sottolineato da Luke Hunt su The Diplomat, il 25 luglio, praticamente alla vigilia del voto, la Repubblica popolare dava il proprio sostegno al primo ministro e al suo esecutivo presentando il nuovo ambasciatore a Phnom Penh, Bu Jianggo. Nei mesi a venire, si legge nel comunicato riportato dall’agenzia ufficiale Xinhua, “il rappresentante di Pechino lavorerà fianco a fianco con il ministro degli Esteri, Hor Namhong“. Come dire: sappiamo già chi sarà il vincitore.

La Cambogia resta sotto l'influenza cinese

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