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Quando Edward Snowden è entrato in scena, tra la Cina e gli Stati Uniti doveva esserci un incontro ufficiale di alto livello per risolvere le tensioni. Le polemiche sullo spionaggio informatico avevano esasperato gli animi: Washington accusava Pechino di furto di segreti industriali attraverso l’hackeraggio e di penetrare nei software di grandi aziende. E molto probabilmente aveva ragione.

Dopo le rivelazioni del Guardian e del New York Times sulle infiltrazioni di Edward Snowden la situazione si è capovolta: in un’intervista dell’ex agente della Cia al quotidiano South Chjina Morning Post si è scoperto che gli Stati Uniti spiano la Cina dal 2009. Gli Usa sono passati da accusatori ad accusati.

All’improvviso Snowden è diventato un “amico” del regime cinese, secondo la pubblicazione Global Times del Quotidiano del Popolo (organo ufficiale del Partito Comunista cinese). E la sua colpa è stata semplicemente quella di denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti civili del governo americano.

Alessandra Spalletta, responsabile del coordinamento di AgiChina 24, ha analizzato per l’Ispi la “strategia attendista” della Cina nella vicenda Snowden: “Nel caso di Edward Snowden il tempismo con cui si sono verificati gli eventi sembra essere calcolato con una precisione maniacale, che potrebbe dare adito, negli scrittori più dotati di inventiva, a una teoria del complotto capace di dare vita a una collana di spy-stories”, ha scritto.

C’erano stati alcuni fatti antecedenti di cui tener conto: il caso di Wang Lijun, ex capo della polizia di Chongqing a febbraio del 2012, che si è rifugiato nel consolato americano di Chengdu in Cina per chiedere asilo politico e fuggire dal suo capo, Bo Xilai, con documenti e intercettazioni. Dopo, a maggio del 2012, l’avvocato autodidatta Chen Guangcheng è fuggito dagli arresti domiciliari. Era detenuto per le sue attività in difesa delle donne costrette ad abortire per la legge del figlio unico.

Ma il caso di Snowden è di un altro tipo. Dopo questa storia, qualunque sia il finale, gli Stati Uniti non potranno più alzare la voce (accusatoria) quando si tratta di spionaggio informatico, come ha scritto il quotidiano The Atlantic. Nulla sarà uguale tra Washington e Pechino. Le accuse americane di illeciti cinesi non avranno lo stesso peso che in passato.

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