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La situazione in Medio Oriente si fa ogni giorno più incandescente. Oltre al conflitto siriano e all’instabilità dell’Egitto, il programma nucleare iraniano desta preoccupazioni crescenti. A tornare sulla questione è stato il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale ha affermato domenica, ad un’intervista sulla CBS News Face the Nation, che la minaccia iraniana rappresenta il problema principale. Tutte le altre crisi che attraversano la regione, “sarebbero (infatti) sminuite da un regime messianico, apocalittico ed estremo in possesso della bomba atomica”.

La recente elezione presidenziale in Iran del moderato Hassan Rowhani non ha pacato i toni del discorso israeliano. Secondo Netanyahu l’Iran si sta avvicinando sempre di più alla linea rossa tracciata dal Primo Ministro durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre 2012. Una linea oltre la quale il programma nucleare avrà raggiunto un livello tale da essere ormai inarrestabile. E ciò secondo lo stesso Netanyahu, potrebbe accadere nell’arco di poche settimane.

La minaccia su Israele incombe maggiormente che sul resto della comunità internazionale, Stati Uniti in primis. L’Iran “sta costruendo missili balistici intercontinentali che in alcuni anni saranno capaci di raggiungere l’America” ha affermato Netanyahu. Mentre nei confronti di Israele il paese “è già in possesso di missili capaci di raggiungere i suoi territori”.

La crisi mediorientale, più di ogni altra, aiuta a comprendere l’evoluzione del quadro geopolitico globale in atto. “Disimpegno” (delle grandi potenze) e “regionalizzazione” (degli interessi e dei conflitti) sono le parole chiave che muovono la riorganizzazione degli equilibri. È forse per questo che Israele ha iniziato ad assumere un atteggiamento più aggressivo, non escludendo la possibilità di un’azione militare unilaterale. Tuttavia resta ancora evidente che il mancato supporto all’utilizzo della forza da parte degli Stati Uniti potrebbe dar vita ad un conflitto estenuante e dagli esiti incerti. È per questo che Netanyahu ha invitato l’amministrazione Obama a rendere chiaro che “se le sanzioni (contro l’Iran) non dovessero funzionare, il paese è pronto ad intraprendere un’azione militare”.

Nell’ottica della regionalizzazione Israele si trova di fronte alla triplice minaccia dell’Iran, della Siria di Assad e del terrorismo degli Hezbollah. In questo contesto si inseriscono gli attacchi aerei alla citta portuale siriana di Latakia del 5 luglio 2013, ufficialmente non rivendicati da Israele ma che, secondo fonti ufficiali americane, sarebbero ad essa attribuibili.

Si legge in un articolo del corrispondente del Financial Times a Gerusalemme, John Reed, che Israele è pronto a stabilire, entro la fine dell’anno, una nuova divisione territoriale nella regione delle alture del Golan al confine con la Siria e il Libano, al fine di contrastare le minacce degli Hezbollah. Si ricorderà che nei mesi di gennaio e febbraio 2013 le forze militari israeliane hanno colpito arsenali missilistici localizzati nel sud della Siria. Arsenali che, secondo Israele, sarebbero stati trasferiti e utilizzati dagli Hezbollah contro le forze aeree e navali del paese.

Mai come ora Israele si è trovata a far fronte ad una situazione problematica come quella attuale, con l’insicurezza aggiuntiva di un temuto e progressivo disimpegno degli Stati Uniti. L’intero Medio Oriente è in una fase di critica evoluzione e, per quanto complesso, lo scenario di soluzioni politiche e diplomatiche resta pur sempre l’unico capace di scongiurare nuove ed ulteriori stragi.

Medio Oriente in crisi: Israele ai ferri corti con l'Iran

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