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Pubblichiamo un’analisi del giornalista, scrittore e conduttore tv Federico Guiglia uscito oggi su L’Arena di Verona, il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.

A volte sono i comportamenti dei cittadini che determinano le leggi, a volte sono invece le leggi che incidono sui comportamenti sociali.

Una nuova coscienza sull’ambiente, per esempio, ha partorito norme più rigorose sulla raccolta dei rifiuti o sulla tutela del paesaggio. Così come le leggi sul casco obbligatorio in motorino o sul divieto di fumo nei locali pubblici hanno cambiato nel profondo le tradizioni piuttosto anarchiche e in apparenza incorreggibili degli italiani sul tema. Il costume innova la legislazione e la legislazione innova il costume.

Ma nel caso dell’appena approvata Convenzione di Istanbul da parte del Parlamento, si può parlare di felice concomitanza. Nel senso che è stata, certo, la nuova consapevolezza del nostro tempo contro la violenza alle donne ad aver mosso e scosso prima la Camera e poi, martedì scorso, il Senato. Ma questa novità legislativa a sua volta contribuirà a sensibilizzare le persone sui diritti delle donne troppo spesso calpestati, e sull’importanza di reagire in tempo. Come impone l’incredibile statistica del femminicidio: in media ogni tre giorni una donna è uccisa da un uomo in Italia. E molte altre ferite, e altre ancora non censite, sia per un malinteso senso del pudore o per la paura che la cosa ancora suscita in tante aggredite, sia perché non esiste un conteggio nazionale e ufficiale su questo crimine.

Mentre il primo rapporto internazionale dell’Organizzazione mondiale della sanità conferma la tendenza e la vastità del fenomeno ben oltre l’Italia: un terzo delle donne ha subìto una qualche forma di violenza nel corso della vita. E’ evidente, pertanto, che la risposta delle istituzioni è fondamentale per voltare pagina.

Con la Convenzione di Istanbul diventata legge della Repubblica italiana, forse siamo alla svolta. Siamo a quel primo, piccolo passo che magari oggi non si vede o pesa poco, ma che col tempo avrà aperto il nuovo cammino per prevenire la violenza, proteggere le vittime e punire i colpevoli. In attesa che anche altri Paesi europei facciano come noi e come il Montenegro, l’Albania, la Turchia e il Portogallo -cioè le cinque nazioni per le quali questo strumento giuridico è vincolante a livello internazionale-, conta il principio introdotto nell’ordinamento italiano: ogni forma di violenza fondata sul genere è equiparata a una violazione dei diritti umani.

Viene in mente l’analogo cambiamento del costume e del codice fatto con la famosa legge che nel 1996 trasformava la violenza sessuale da delitto contro la moralità pubblica e il buon costume in crimine contro la persona.
Dunque, colpire una donna in qualunque ambito familiare, sociale o inter-personale che sia -e chiunque ne sia l’artefice-, significherà non solo aver compiuto un atto discriminatorio, ma anche aver violato un diritto fondamentale della persona. Monito altamente simbolico ma anche formale in concreto, se si pensa che sono 81 gli articoli della Convenzione che entrano nel dettaglio della “prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, evitando così il rischio della formulazione bella ma retorica, cioè inutile.

Al contrario, ora c’è uno strumento forte e condiviso -il Senato l’ha ratificato all’unanimità e in tempi insolitamente rapidi- per incidere sui comportamenti, per prevenire con un’educazione che deve partire dalle famiglie e dalle scuole, per reprimere con la severità della legge. Proteggere i bambini e stare dalla parte delle vittime: la battaglia contro gli abusi e per le pari opportunità dovrà portare a considerare semplicemente come “inaccettabile” qualunque forma di violenza alle donne. E’ suonato l’allarme rosso e da oggi nessuno può più dire che non l’aveva sentito.

La vittoria della Convenzione di Istanbul

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