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Pubblichiamo un articolo del dossier “Iran: elezioni sotto tutela” dell’Ispi

L’elezione del presidente in Iran segue le regole di un matrimonio combinato. Lo sposo (il presidente) deve piacere anzitutto ai genitori della sposa (Khamenei), ai parenti (i pasdaran), agli amici (il clero) e al quartiere (i fedelissimi del regime). Conta qualcosa anche il gradimento della città (la maggioranza degli iraniani) e incide sempre lo swing vote del partito del vento, l’hezb-e-bad, (gli indecisi), ma l’idea di fondo è che, con le buone o le cattive tutti possono essere blanditi, perché alla fine di tutto c’è sempre la mashin -e- entekhabat, la macchina elettorale, una fata buona che, all’occorrenza, materializza i numeri per festeggiare lo sposo migliore.

Khamenei: Il padre della sposa tiene nota di tutte le ambasciate, ascolta auspici e lagnanze. Come un genitore amorevole è ufficialmente “imparziale”, ma come sanno tutti i rivali in amore, il profilo dello sposo ideale non è misterioso. I requisiti che cerca la Guida Suprema sono anzitutto obbedienza e lealtà. Khamenei vuole un esecutore puntuale e di moderate ambizioni, un uomo che non si prenda la libertà di gigioneggiare agli appuntamenti internazionali, un politico che non provi gusto a sconvolgere e sfidare la comunità occidentale, che sappia farlo, sì, ma solo su ordinazione. Khamenei dopo averlo creato, desidera insomma l’antidoto ad Ahmadinejad.

Il consigliere Ali Akbar Velayati e il consuocero Gholam Alì Haddad Adel, sono due sicurezze, insieme al sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf fanno parte della triade che doveva scegliere il candidato di punta dei conservatori, ma non c’è riuscita. Si tratta di un fallimento che pesa e peserà nel fronte conservatore e fa risaltare la stella di Saeed Jalili, ex funzionario dell’ufficio di Khamenei con un passato da pasdaran e un presente da plenipotenziario nucleare che non ha mai dato problemi. Gli manca un po’ di carisma e una solida esperienza da amministratore (un difetto che lo accomuna al papabile Velayati), ma sulla carta è colui che meglio risponde ai desiderata di Khamenei. Sarà davvero lui lo sposo? Il 4 giugno, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della morte dell’Ayatollah Khomeini, il Leader Supremo ha invitato il futuro presidente a evitare “concessioni” all’Occidente, sottolineando che la disponibilità manifestata in tal senso da alcuni candidati era “un errore”. A chi si riferiva Khamenei? I principali indiziati sembrano essere il riformista Mohammad Reza Aref e Hassan Rouhani, il “no nonsense nuclear negotiator” di Khatami che accettò la sospensione “volontaria e temporanea” dell’arricchimento dell’uranio (ma Rouhani contesta le critiche e ribadisce che ogni mossa dal 2003 al 2005 fu concordata con il Leader Supremo). Rouhani peraltro, partito in sordina, si è imposto nei dibattiti con una piattaforma dal sapore rooseveltiano che ha esaltato i teorici del “riformismo dall’alto” e, prevedibilmente, entusiasmato meno Khamenei.

I pasdaran sono i migliori amici del padre della sposa, quasi dei genitori-surrogati. Quello che pensano peserà in maniera determinante sulle valutazioni di Khamenei. Tuttavia, i pasdaran non sono un blocco unitario: le reclute e i capi che controllano fondazioni e grandi conglomerati economici sono mossi da interessi diversi. I pasdaran, dunque, possono riservare sorprese e compiere scelte apparentemente eterodosse: nel ’97, ad esempio, il 70% del corpo votò per Mohammed Khatami. I loro favoriti (lo suggerisce abbastanza esplicitamente un sondaggio della agenzia Fars controllata dal corpo) sono Mohammad Baqer Qalibaf e Saeed Jalili. Qalibaf ha avuto molti anni per costruire il suo network, gode di vaste simpatie ma deve dissipare l’immagine da “manager in giacca di pelle” tutto preso da centri culturali e giardini (peraltro molto apprezzati dagli abitanti di Teheran dove va fortissimo). Ha lasciato quindi che emergesse un filmato in cui rivendica orgoglioso il suo passato da picchiatore di studenti. Indiscrezioni attribuite all’Ayatollah Jaferi di Kerman speculano sul sostegno del capo di al Quds Ghassem Suleimani e siti come Farau hanno rilanciato il rumour pubblicando video in cui il sindaco di Teheran cinge amorevolmente le spalle di Suleimani. Il nome di Jalili, invece, è stato tra i primi a essere perorato dai pasdaran che contano. Il suo slogan: «Nessun compromesso. Nessuna sottomissione. Solo Jalili» è la sintesi perfetta delle idee che ricorrono ogni settimana nella rivista del corpo Sobh-e Sadegh. Jalili ha anche già incassato l’endorsement dell’Ayatollah Meshab Yazdi, un falco, molto influente negli ambienti militari.

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Tatiana Boutourline è giornalista de “Il Foglio”.

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