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Pubblichiamo un articolo dello “Speciale giovani e rivoluzioni” di Affari Internazionali

Mentre gran parte del mondo arabo è impegnato in un profondo processo di transizione prodotto dalle componenti più giovani delle sue società, i ragazzi libanesi restano imbrigliati in un pericoloso immobilismo. Nonostante il ritiro delle truppe siriane in seguito a quella che il segretario generale del 14 Marzo, Fares Soueid, ha definito l’inizio di tutte le “primavere arabe”, la gran parte dei libanesi rimane del tutto consapevole che oggi il destino del Paese è legato a doppio filo a quello della Siria. La spinta verso il cambiamento che con tanta forza si era espressa nel 2005 attraverso movimenti di piazza simili a quelli di Avenue Habib Bourghiba e Piazza Tahrir, sembra essersi ormai esaurita.

Una primavera ormai passata

La mobilitazione giovanile libanese nel 2011 non è nemmeno lontanamente comparabile con quella del 2005. Eppure nel 2011 sono nati movimenti di protesta. Campagne come “ll popolo libanese contro il confessionalismo” o la “Campagna nazionale per l’eliminazione del sistema confessionale” e nuovi blog come ad esempio “A separate state of mind”. In più di un’occasione migliaia di giovani libanesi hanno marciato contro la rappresentanza politica su base confessionale.

In aggiunta, all’inizio del 2013, il primo matrimonio inter-confessionale celebrato su suolo libanese, e riconosciuto dallo Stato, sembrava aver dato nuovo impulso per la creazione di un movimento di coscienza sociale soprattutto fra le componenti più giovani della società che avevano salutato con favore l’apertura alle unioni civili.

Tuttavia queste forme di protesta, oltre che numericamente esigue, restano a tutt’oggi politicamente isolate poiché prive di un referente politico che si faccia carico delle loro richieste. Guardando al 2005 e alla potentissima esperienza della Rivoluzione dei Cedri, è come se i giovani libanesi abbiano vissuto una primavera individuale, esclusivamente libanese, all’interno di un contesto regionale che non era pronto -come potrebbe forse esserlo oggi- ad accogliere le istanze di cambiamento.

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Marco Di Donato è dottore di Ricerca in Scienze Politiche e presidente del Centro Italiano di Studi sull’Islam Politico (CISIP).

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