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Nelle famiglie italiane, almeno in quelle che continuano a “tenere”, esiste un lavoro nascosto, che nessuna contabilità nazionale intende misurare, ma che è un vero e proprio tesoretto nazionale. Si tratta del lavoro familiare, gratuito, non retribuito, che anche in tante rilevazioni a livello europeo viene definito “invisibile” e che, nel nostro idioma, trova una sua concretizzazione nella parola, spesso dispregiativa, di “casalinga”. Delle tante sentenze della nostra giurisprudenza una recentissima che riguarda il lavoro familiare è passata in sordina ma, forse, dovrebbe essere meglio conosciuta, soprattutto in un giorno come quello dedicato alla festa del lavoro e dei lavoratori. In questa sentenza, la prima Sezione civile della Corte di Cassazione, ha ribadito un principio troppo spesso ignorato: quello della casalinga è un vero e proprio lavoro. La Suprema Consulta ha infatti deciso una disputa fra ex coniugi, in favore della moglie divorziata casalinga, applicando il principio che la donna che si prende cura dalla casa e dei figli è, secondo la definizione giuridica affermabile nel nostro ordinamento, una «lavoratrice non dipendente». Tale principio, quindi, va considerato a tutti gli effetti anche dopo la separazione per la determinazione dell’importo dell’assegno divorzile. Come è stato giustamente commentato a livello giurisprudenziale, con tale sentenza la Cassazione ha dunque affermato «[…] che è vero che tale assegno va commisurato alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, pur tuttavia, in mancanza di prova, indice di tale tenore di vita può essere l’attuale divario reddituale tra i coniugi ed, al riguardo, si veda anche la sentenza della Cassazione n. 2156 del 2010)» (Valentina Rossi, Assegno divorzile e lavoro da casalinga, in “Persona e danno. Rivista giuridica on line”, 24 aprile 2013) Non è la prima, anzi, questa della Cassazione è solo l’ultima di una lunga serie di pronunce in favore del lavoro familiare, anche provenienti da giudici territoriali. Solo per citarne una di quest’ultimo tipo, può essere menzionata quella della Corte d’Appello di Ancona, sentenza n. 217, 13 marzo 2012, che ha stabilito per una casalinga cinquantenne divorziata il diritto al mantenimento da parte dell’ex coniuge, contro la pretesa di quest’ultimo che la voleva impegnata a cercarsi un lavoro fuori casa per non dovergli più corrispondere l’assegno divorzile.
Quello della casalinga è molto più di un lavoro, perché la funzione sociale della famiglia e del matrimonio non sono certo monetizzabili. Non sarebbe però male che iniziassimo a tener conto nel computo del PIL e, quindi, a monte, nelle statistiche nazionali, anche di questo lavoro nascosto. E magari cominciando a ricordarlo nei tanti discorsi e proclami della festa del lavoro e dei lavoratori.

Nella festa del lavoro ricordiamoci anche di quello casalingo

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