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di Giuseppe Zollino, Professore di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari a Fissione e Fusione presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova.

Il 27 marzo scorso la Commissione ha pubblicato il libro verde “A 2030 framework for climate and energy policies”, con la finalità di avviare la discussione su un quadro di riferimento per le politiche energia-clima dell’Unione Europea al 2030, ed in particolare sul tipo, natura e livello degli obiettivi comunitari e per i singoli Paesi Membri, per la “tappa al 2030” della Roadmap europea dell’energia.

Ricordiamo che nella comunicazione pubblicata a fine 2011, “A EU Energy Roadmap 2050”, la Commissione ha proposto l’ambizioso obiettivo di tagliare al 2050 le emissioni europee di gas serra dell’80% rispetto ai livelli del 1990; in particolare, per il settore elettrico il taglio proposto è del 95%. Tutto questo senza pregiudicare la competitività dell’Unione Europea, come ribadito anche nel libro verde del 27 marzo, che recita: “obiettivo fondamentale è garantire prezzi dell’energia competitivi in confronto a quelli internazionali, per le imprese ed i consumatori”.

Come spesso capita, più eloquenti del documento principale risultano quelli di accompagnamento: è il caso della corposa analisi di impatto allegata alla Roadmap. In essa sono illustrate le ipotesi e le condizioni sulle quali sono costruiti 7 diversi scenari a livello comunitario, di cui 5 in grado di rispettare gli obiettivi al 2050: ovvero de-carbonizzazione ed insieme garanzia di approvvigionamento e costi competitivi. Senza quelle ipotesi e condizioni, non tutte valide tout court per tutti i Paesi Membri, gli obiettivi non sarebbero centrati.

Per esempio, nei 5 scenari de-carbonizzati si assume che il fabbisogno di energia primaria cali al 2050 di oltre il 30% rispetto al valore attuale e che cresca la quota dei consumi finali coperta dall’energia elettrica – da poco più del 20% attuale fino a quasi il 40%; inoltre si assume che per la generazione elettrica:

– si faccia ampio ricorso alle fonti rinnovabili (con una quota variabile tra il 59 e l’83%, a seconda dello scenario) i cui costi in alcuni casi sono assunti in forte calo rispetto a quelli attuali;
– siano disponibili centrali a gas e a carbone con cattura e sequestro della CO2 (CCS) con costi e rendimenti simili a quelli attuali senza CCS;
– si utilizzino reattori nucleari di generazione avanzata, in quota variabile a seconda dello scenario.

Tra le rinnovabili elettriche un contributo molto rilevante è attribuito all’energia eolica, on-shore ed off-shore (che a seconda degli scenari copre una quota tra il 31 ed il 49%), per la quale si assume in media un fattore di carico del 30% (2.600 ore), seguita dall’energia idroelettrica e da biomasse, con quote variabili tra l’8 ed il 10% e dall’energia solare (fotovoltaico e solare termodinamico a concentrazione), con una quota tra il 7 e l’8%, tranne nel caso dello scenario ad alta penetrazione di rinnovabili, nel quale la quota raggiunge il 13%.

Inoltre, tra gli scenari elettrici de-carbonizzati, quello così detto “a mix diversificato” (60% rinnovabili, 25% fossili con CCS, 16% nucleare) presenta il costo dell’energia elettrica più basso, mentre lo scenario a più elevata penetrazione FER (83% rinnovabili, 10% fossili con CCS, 3.5% nucleare) ha il costo più elevato.

Tutto questo e molto altro si può apprendere dalla paziente lettura delle analisi di scenario europeo che accompagnano la Roadmap al 2050. D’altra parte il 2050 è oggettivamente lontano e le previsioni sugli sviluppi tecnologici a quella data appaiono oggi piuttosto aleatorie, tanto da indurre a prima vista all’indifferenza. E invece la sfida posta dalla Roadmap e la rivoluzione energetica che essa comporta vanno prese molto sul serio, già oggi. Tanto più se si considera che da essa potrebbero discendere obiettivi intermedi vincolanti (come già lo sono quelli del pacchetto clima-energia 20-20-20) che non sarebbe ragionevole negoziare o, peggio ancora, accettare, senza aver prima condotto una approfondita ed il più possibile condivisa analisi delle specifiche condizioni nazionali, dei mix possibili e delle loro implicazioni economiche. Le inevitabili incertezze possono essere comunque trattate con metodi statistici e le alternative sottoposte al pubblico dibattito, in modo da aumentare per tempo la consapevolezza e l’accettazione delle ricadute per così dire collaterali, proprie di ciascuno scenario.

Come noto agli esperti del settore, il governo inglese ha ormai da oltre un anno pubblicato on-line, sul sito del Dipartimento Energia e Clima, un generatore di mix interattivo, che consente a ciascun utente di scegliere à la carte quello a lui più congeniale e di valutarne le implicazioni (potenze installate, superfici occupate, rifiuti prodotti, emissioni di CO2, costi, ecc.). Indubbiamente qualcosa di simile sarebbe molto utile anche in Italia: si scoprirebbe per esempio l’impatto positivo della disponibilità di alcune tecnologie oggi non ancora mature, come il solare termodinamico o la CCS; emergerebbe come generare quote importanti di energia elettrica (intorno al 25% – non a caso negli scenari europei il contributo è ben inferiore) da fotovoltaico richiederebbe l’installazione di enormi capacità di accumulo per il time-shift, ecc.;con il risultato auspicabile di ricondurre l’Energia, fondamentale fattore in un Paese con la seconda industria manifatturiera d’Europa, a tema di discussione razionale.

Ma tornando al libro verde e agli obiettivi al 2030, fa piacere rilevare che la Commissione riconosca che nel fissarli potrebbe essere opportuno introdurre elementi di flessibilità che tengano conto degli sviluppi tecnologici (come da ipotesi di scenario) via via effettivamente conseguiti. Un adeguato sostegno alla ricerca e all’innovazione e – aggiungiamo noi – alla crescita di filiere industriali nazionali renderebbe la ristrutturazione energetica economicamente più sostenibile e dunque ne aumenterebbe le reali chance di successo.

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