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Parlamentarismo razionalizzato con rafforzamento dei poteri del premier o assetto semi-presidenziale di tipo francese con un Capo dello Stato eletto dal popolo e responsabile del governo? Proporzionale tedesco e spagnolo oppure Mattarellum e maggioritario di collegio a due turni? Attorno ai modelli istituzionali ed elettorali che saranno al centro della discussione e delle scelte del Parlamento si è animato all’Università di Roma Tre un appassionato dibattito promosso dall’Associazione italiana dei costituzionalisti.

Gli studiosi che guardano Oltralpe
Favorevole a un’innovazione semi-presidenziale è Giuseppe De Vergottini, antico sostenitore del governo parlamentare britannico imperniato sul bipartitismo e sul collegio maggioritario a turno unico. Consapevole che il cambiamento del meccanismo di voto e dei regolamenti delle Camere non siano sufficienti per agevolare l’incisività dell’azione dell’esecutivo, il giurista ritiene che la tendenza affermatasi nell’ultimo ventennio di un più diretto rapporto tra legittimazione popolare e leadership del Presidente del Consiglio trovi una risposta convincente nell’adozione delle istituzioni d’Oltralpe. Anche alla luce dell’evoluzione del ruolo del Capo dello Stato italiano in senso governante, “che non può non avere ripercussioni giuridico-costituzionali”. Ragionamento sviluppato da Andrea Morrone, per il quale l’ingovernabilità e l’incertezza dell’esito delle recenti elezioni sono frutto di un’architettura costituzionale fondata sull’assoluta centralità del Parlamento rispetto a un governo che ne è il comitato esecutivo. Ecco perché “liberarci dallo spettro del tiranno e immaginare l’investitura diretta del Capo dello Stato con un meccanismo di voto mirante all’alternanza e alla competizione bipolare potrebbe promuovere un processo di riforma-aggregazione-strutturazione di grandi soggetti politici e l’attuazione di una democrazia immediata”.

Gli avversari del modello francese
Radicalmente ostile all’introduzione delle istituzioni della V Repubblica è Gianni Ferrara, il quale vede nella scrittura ex novo del testo del 1948 in senso semi-presidenziale lo stravolgimento del nostro impianto parlamentare, “in cui il potere e la dinamica politica dell’ordinamento sono attribuiti a una pluralità di persone e istituzioni. Non come nel modello presidenziale che conferisce quella capacità a un unico individuo, per cinque anni immune da qualunque responsabilità come accade al presidente Usa nel secondo mandato”. Una forma di governo “plebiscitaria capace di alimentare pulsioni populiste, che negherebbe ai cittadini la facoltà di promuovere attraverso i partiti l’indirizzo politico della nazione, ed eliminerebbe il Capo dello Stato arbitro, mediatore e risolutore delle tensioni istituzionali in un paese con fragile senso dell’unità nazionale”. Il tutto imposto “per mezzo di un bipolarismo o bipartitismo coercitivi che l’Italia non ha mai accettato”.

Temi che riecheggiano nell’intervento di Massimo Villone: “Anziché colpire il legame e circuito governo-Parlamento già ampiamente indebolito, è necessario valorizzarlo adottando una forma di governo e una legge elettorale di tipo tedesco, accompagnata a una disciplina rigorosa dei partiti e all’allargamento del ricorso al referendum”. Appassionato fautore dell’adozione del regime vigente in Germania è Gaetano Azzariti, convinto che la ragione del tentativo di riforma istituzionale semi-presidenziale risieda nel rifiuto delle forze politiche di fare i conti con la propria liquefazione e nella volontà del governo di perpetuare se stesso. “Ma possiamo riformare le istituzioni regolamentando uno stato d’eccezione quando la priorità è negli squilibri che vedono vittima sacrificale il Parlamento?”

Quale riforma elettorale?
Il vero nodo da sciogliere, osserva Enzo Cheli, tocca il legame tra regole elettorali e realtà partitiche, essenziale per definire un uniforme indirizzo politico del raccordo Parlamento-governo legittimato da un chiaro mandato dei cittadini. Ed è sul meccanismo di voto che si sviluppa la proposta di Stefano Ceccanti, ispirata dall’esigenza di designare il vincitore di una competizione bipolare. Se il percorso di revisione costituzionale trovasse sbocco in un assetto semi-presidenziale, “ne scaturirebbe un meccanismo maggioritario di collegio a due turni anche per l’elezione della Camera politica”. Altrimenti “si potrebbe correggere la legge in vigore restringendo le circoscrizioni e accorciando le liste bloccate per rendere più conoscibili i candidati. E prevedere un ballottaggio fra i due schieramenti più votati con un bonus di governabilità in palio”. Perché, rimarca lo studioso, l’esperienza fallimentare della Terza Repubblica francese rivela che in un regime parlamentare l’uninominale a doppio turno non basta a produrre la dinamica bipolare di partiti strutturati riscontrata nel modello semi-presidenziale”.

Protezionismo

Parigi o Berlino, il dilemma sulle istituzioni del futuro

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Il Governo Letta e la politica dell’illusione (e di marketing) sul lavoro

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Rotelli. Passioni e segreti di un liberale montanelliano

Si dice: "La storia non si fa con i se". Non tanto in omaggio a una concezione deterministica o teleologica, ma perché tutto può cambiare da un momento all'altro, spinto dal caso. La morte di Giuseppe Rotelli ha rovesciato in men che non si dica le sorti del Corriere della Sera, portando nelle mani di John Elkann i diritti che…

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