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Il tema in cima all’agenda del vertice informale tra Barack Obama e Xi Jinping sarà lo spionaggio informatico, ripete la stampa internazionale da giorni. Ma lo scandalo del sistema per setacciare i server Prism, il monitoraggio delle comunicazioni online all’estero e la sorveglianza dei tabulati telefonici di milioni di statunitensi, non permetteranno al presidente Usa di recitare con la Cina la parte di chi ha ragione, così come l’America avrebbe voluto.

Nei giorni scorsi dalla Casa Bianca era trapelata l’intenzione di esortare Xi affinché il governo di Pechino si assuma le proprie responsabilità riguardo gli attacchi partiti dal territorio della Repubblica popolare. I due Paesi hanno annunciato da tempo di voler collaborare per la sicurezza informatica, ma continuano intanto le accuse reciproche di intrusioni.

Ai rapporti Usa, sia governativi sia di privati, che proverebbero ci sia la mano o almeno l’ispirazione di settori dello Stato e dell’esercito cinese negli attacchi contro agenzie governative e imprese Usa, Pechino ha replicato proprio in questi giorni con la notizia di una mole di dati in proprio possesso che proverebbero invece intrusioni americane. Posizione che pare far intendere non ci sia spazio per troppe concessioni.

Stesso discorso per quanto riguarda il ruolo geopolitico delle due potenze. Gli Stati Uniti hanno fatto dell’Asia il nuovo fulcro della propria politica estera ed economica, con un conseguente riposizionamento di risorse e mezzi militari nell’area del Pacifico, visto a Pechino come una forma di contenimento della propria influenza.

Il Dragone ha replicato facendo precedere il vertice informale tra i due leader da un giro di Xi in Messico e nei Caraibi, ossia in quella parte del mondo che Washington era abituata a considerare il proprio cortile di casa. “In qualche modo la nuova assertività cinese potrebbe rendere al cooperazione più difficile” ha scritto l’Economist, che all’incontro nella tenuta californiana ha dedicato la copertina immaginando i due capi di Stato come i cowboy di Brokeback Mountain.

Per entrambi i leader, scrive il settimanale britannico, sarebbe tuttavia più utile cooperare soprattutto nelle questioni iraniana e nordcoreana e sui cambiamenti climatici. Con gli Usa più a loro agio nel conoscere le intenzioni cinesi, Xi avrebbe invece maggiore libertà d’azione nella regione.

“La tempistica è l’ideale per vedere come i due Paesi andranno verso relazioni più tranquille” ha detto al South China Morning Post l’esperto di relazioni internazionali dell’Università di Pechino, Jia Qingguo, secondo cui aspettare fino a settembre sarebbe stato troppo tardi. Il giornale di Hong Kong sottolinea inoltre come il vertice sia occasione per i due leader di rivolgersi ai propri cittadini, mostrando attenzione per le relazioni bilaterali, ma senza cedere troppo alla controparte.

Il capitolo nordcoreano è quello in cui i due leader potrebbero trovare maggiori punti di contatto, in particolare per riaprire i colloqui a sei con le due Coree, la Russia e il Giappone e raggiungere l’obiettivo della denuclearizzazione.

Nelle scorse settimane l’emissario del regime di Pyongyang, Choe Ryong-hae, si è recato a Pechino e a fatto aperture al dialogo. Segnali in questo senso si registrano in questi giorni. Ieri la Corea del Sud ha accettato la proposta nordcoreana di un vertice ministeriale che si dovrebbe svolgere a Seul il prossimo 12 giugno. Oggi il Nord ha invece annunciato la riattivazione della linea telefonica d’emergenza della Croce Rossa, tagliata nella fase più acuta delle tensioni dei mesi scorsi in seguito al test nucleare nordcoreano del 12 febbraio.

Ecco cosa deciderà il vertice tra Usa e Cina

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