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Le discussioni delle scorse settimane sulle guerre valutarie e sullo spostamento degli asset dal mercato obbligazionario a quello azionario sono il segnale che i mercati si stanno lasciando alle spalle la grande crisi finanziaria. Spaventa invece lo spettro di una guerra valutaria che potrebbe portare, in tandem con eventuali politiche commerciali mercantiliste, ad una depressione globale. E’ il parere di Andreas Utermann, Global Chief Investment Officer di Allianz Global Investors, che si concentra sulla politica monetaria aggressiva del Giappone e sui suoi effetti sull’eurozona.

La lotta giapponese alla deflazione

“Fortunatamente, con poche eccezioni, finora non sono scoppiate guerre valutarie con misure protezionistiche – spiega -. La discussione sulle guerre valutarie si è intensificata quando i politici giapponesi si sono accorti tardivamente che la costante rivalutazione dello yen avrebbe fatto proseguire la crisi economica nel Paese e che sarebbe stato necessario adottare politiche di Quantitative Easing nel tentativo di ridare respiro all’economia”.

Le aspettative inflazionistiche alimentate da Tokyo

“È in tale contesto che dobbiamo considerare la reazione politica del Giappone al Quantitative Easing della Fed, della Bce e della Banca d’Inghilterra” sottolinea Utermann. “Il tentativo del Giappone di creare inflazione nelle loro economie è anche un tentativo di incrementare le aspettative inflazionistiche: questo non solo incoraggia potenzialmente i risparmiatori a spendere di più, ma determina anche una correzione più rapida dei tassi di cambio reali rispetto ai Paesi che non adottano una politica di allentamento quantitativo (principalmente i mercati emergenti). In questa luce le politiche aggressive di Quantitative Easing nella maggior parte dei paesi Ocse hanno provocato una correzione reale molto più rapida dei tassi di cambio relativamente ai mercati emergenti rispetto a quanto suggerirebbero le oscillazioni del cambio nominale. Le dichiarazioni dei politici Ocse in merito alle guerre valutarie e all’apprezzamento valutario (nominale), per esempio da parte della Cina, sono dirette principalmente a un pubblico locale”.

La minaccia (lontana) della guerra valutaria

“I politici a livello globale concordano che le rettifiche dei tassi di cambio reali sono
necessarie per alleviare gli squilibri globali. Una guerra valutaria vera e propria con un danno effettivo all’economia globale non si può escludere, anche se in questo momento rappresenta solo una lontana minaccia. Sono fuorvianti anche le discussioni sulla “grande rotazione” col passaggio dai mercati obbligazionari a quelli azionari”, oseerva.

La scarsa propensione al rischio

“Ora che sta rientrando la minaccia di una depressione globale e del tracollo dell’Eurozona, gli operatori dei mercati finanziari che possono farlo (investitori privati, aziende) rispondono agli incentivi offerti dalle principali banche centrali mondiali. Purtroppo la maggior parte degli operatori dei mercati finanziari (fondi pensione, compagnie di assicurazione, banche) si trova nelle grinfie della repressione finanziaria. Come le banche centrali, continueranno ad accumulare attività definite prive di rischio con un rendimento potenzialmente negativo”, conclude Utermann.

Solo l'inflazione salverà l'euro

Le discussioni delle scorse settimane sulle guerre valutarie e sullo spostamento degli asset dal mercato obbligazionario a quello azionario sono il segnale che i mercati si stanno lasciando alle spalle la grande crisi finanziaria. Spaventa invece lo spettro di una guerra valutaria che potrebbe portare, in tandem con eventuali politiche commerciali mercantiliste, ad una depressione globale. E' il parere di Andreas Utermann, Global Chief Investment Officer di Allianz Global Investors, che si…

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