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Come si investe in credibilità internazionale senza fare del vacuo populismo, ma sostenendo il “motore” Italia anche con politiche mirate e riforme strutturali concrete? Se lo è chiesto qualche giorno fa il vertice dell’Eni Giuseppe Recchi, stimolando il ceto politico (che si affanna a sloganeggiare in campagna elettorale) affinchè attui una riforma di stampo culturale. Che non sia improvvisata ma figlia di una programmazione seria e lungimirante: al fine di attirare investitori nel nostro paese. Convincerli che qui c’è un unicum, che vale la pena imbarcarsi in quella direzione, che il belpaese ha molte frecce al proprio arco. Ma troppo spesso nel passato (e anche nel presente) è accaduto che quelle forze centrifughe – cinesi e indiane – basate su nuovi capitali abbiano deciso di virare altrove. Colpa di una realtà che rappresenta un deterrente: la burocrazia pachidermica con tempi biblici, la farraginosità della giustizia anche civile che non aiuta le imprese, i mille lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo, l’assenza di una strategia di ampio respiro che “venda” il meglio che il Paese produce ma senza svilire i diritti, una rete di trasporti ancora non a livelli europei, il Corridoio 8 dimenticato da tutti, un raddoppio ferroviario che al sud è ancora una chimera. Non comprendere come, proprio in un momento di crisi sistemica e di deficienze di denaro, l’unica via di uscita sia inseguire quella qualità che l’Italia ha nelle proprie mani, rappresenta un’azione politica che conduce inevitabilmente all’autodistruzione.

E non è sufficiente promuovere il brand italiano in luoghi simbolo dell’economia florida, come il Qatar o la Cina. Ma occorre accompagnare quelle presenze fisiche e di rapporti internazionali con tre riforme vere e rapide senza delle quali il tutto resterà lettera morta. La digitalizzazione della macchina giudiziaria, con un abbattimento significativo dei tempi tecnici; una programmazione netta di grandi opere utili e non a fini elettorali; la ristrutturazione “programmatica” dell’Enit dopo i disastri della precedenza ministra, come autentico veicolo che attiri denari dagli altri continenti.

Quando si invoca una rete di competenze, scelte e progetti non si vuole semplicemente portarsi al passo coi tempi anche dal punto di vita del glossario comunicativo. Ma stimolare le varie componenti di un puzzle ancora scomposto a cercare la sintesi, a individuare obiettivi comuni. Da raggiungere con quello che nel calcio di ieri (meglio dell’accozzaglia di schemi e mazzette di oggi) si chiamava spogliatoio. Ecco cosa manca all’Italia di oggi per dare un calcio alla crisi e provare a rimettersi in carreggiata.

Twitter@FDepalo

Alla squadra Italia manca uno spogliatoio unito

Come si investe in credibilità internazionale senza fare del vacuo populismo, ma sostenendo il “motore” Italia anche con politiche mirate e riforme strutturali concrete? Se lo è chiesto qualche giorno fa il vertice dell’Eni Giuseppe Recchi, stimolando il ceto politico (che si affanna a sloganeggiare in campagna elettorale) affinchè attui una riforma di stampo culturale. Che non sia improvvisata ma…

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