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Google è il motore di ricerca largamente più utilizzato dagli utenti di Internet. In italia più del 90% delle ricerche on-line viene effettuata attraverso i server di Mountain View, garantendo alla società una posizione dominante nel mercato. Le linee guida della Commissione europea ci dicono che si verifica una presunzione di posizione dominante quando si ha il 40% della quota di mercato. Tuttavia la forza nel mercato non significa automaticamente un illecito concorrenziale, perché questa posizione può essere dovuta alla capacità dell’impresa. Come ebbe a dire il giudice Learned Hand, nel celebre caso “Alcoa”, al concorrente di successo non può essere contestato il fatto di aver conquistato il mercato se ciò è frutto di superiore destrezza, pena l’indebolimento
del processo concorrenziale.

Il punto centrale è stabilire se Google possa abusare della sua posizione nel mercato della fornitura di servizi di ricerca basati sull’algoritmo, per rafforzarsi, a danno dei concorrenti, in altri mercati collegati. Per esempio, quando si fa una ricerca su Google, la gerarchia dei risultati è importante, perché le voci che compaiono nella prima pagina sono quelle più consultate rispetto ai risultati delle pagine successive. Il problema è: chi va a finire nella prima pagina? Secondo alcune ipotesi sottoposte al vaglio della Commissione europea, Google, attraverso una particolare conformazione dell’algoritmo usato dal suo motore di ricerca, potrebbe
dare priorità ai risultati che fanno riferimento a proprie società o a soggetti “affiliati”, a danno di altri player. L’autorità garante italiana, con anticipo rispetto ad altri attori, si è mossa con un’istruttoria nel 2010 e poi nel 2012 con la relazione annuale al Parlamento, invitando il decisore politico, come ora stanno facendo altri Paesi (ad esempio la Germania), a dettare una disciplina specifica che possa garantire un’effettiva concorrenza soprattutto nel mercato della pubblicità on-line, dominato da BigG. Nel caso chiuso nel 2010 i problemi principali erano due. In forza del legame esistente tra Google news Italia e Google web search, gli editori italiani erano di fatto privati della facoltà di controllare quali dei propri contenuti Google news potesse riportare e eventualmente di sottrarre completamente tale utilizzazione.

In tal caso infatti essi correvano il rischio di ripercussioni sull’indicizzazione dei loro contenuti sul motore di ricerca Google web search. Inoltre era contestata l’assenza di trasparenza e di verificabilità dei corrispettivi spettanti agli editori affiliati al programma AdSense di Google (per cui l’editore guadagna per ogni click sui link pubblicitari visualizzati).
Il caso si è chiuso con gli impegni di Google ad adottare una serie di misure proconcorrenziali
che avrebbero impedito il verificarsi degli abusi ipotizzati. Bisogna dire che l’atteggiamento
del diritto antitrust in America e in Europa è diverso nei confronti del “potere dei giganti”. Le forme di concentrazione di potere nell’esperienza americana sono state, recentemente, ben viste perché possono massimizzare l’efficienza del sistema economico.
Al contrario, nell’esperienza europea l’accento è posto sull’effettiva possibilità di scelta
del consumatore, guardando con sospetto al “potere dei giganti”. Nonostante i diversi approcci,
sia l’antitrust Usa sia la Commissione europea si stanno muovendo nei confronti di Google.

I principali capi di imputazione rivolti dall’antitrust europeo nei confronti di Google sono due. Primo: si pensa che la società di Mountain View operi una manipolazione dell’algoritmo di ricerca per favorire i risultati relativi ai suoi prodotti o a quelli affiliati.
Secondo: si indaga sulle clausole di esclusiva imposte ai siti web sui quali Google raccoglie e
posiziona le inserzioni pubblicitarie. L’ipotesi è che così facendo possa impedire l’affermazione,
in questo settore, di altri operatori. Un altro tema delicato è il divieto di trasferimento
dati dalla piattaforma di raccolta pubblicitaria di Google, AdWords, verso piattaforme concorrenti.
Tirando le somme, secondo le ipotesi dell’antitrust europeo l’effetto principale della condotta di Google sarebbe quello di realizzare una attività escludente, consistente nell’impedire ai concorrenti di acquisire la dimensione minima necessaria per concorrere. Se fossero provate queste ipotesi ci sarebbe un abuso di posizione dominante sanzionato pesantemente dalla Commissione. Ma il caso può chiudersi anche prima se la Commissione dovesse accettare gli impegni proposti da Google in base ai quali il gigante di Mountain View dovrebbe assumere comportamenti tali da impedire, in
futuro, ogni abuso. C’è un grande quesito che ricorre nell’evoluzione del diritto antitrust: esso deve garantire il buon funzionamento del mercato tutelando la libertà di scelta del consumatore oppure deve tutelare anche la democrazia contro il “potere dei giganti”?

Nel 1890 il diritto antitrust nasce in America per tutelare anche la democrazia, cioè per tutelare una società di piccoli imprenditori contro i giganti economici che potevano condizionare la libertà democratica. Nelle evoluzioni successive l’antitrust ha spostato l’attenzione sul buon funzionamento del mercato e sulla
tutela dei consumatori. È opportuno precisare che il business digitale è un fenomeno che va oltre i singoli Stati. Perciò oggi la garanzia del mercato concorrenziale deve seguire un’ottica sovranazionale. Per questa ragione è intensa la collaborazione che l’antitrust italiano
ha con le corrispondenti autorità degli altri Paesi europei e con la Commissione. Di fronte a un potere economico transnazionale – e Google ne è un esempio ma potremmo citarne molti altri – si pone, con tratti nuovi rispetto al passato, il problema di come assicurare la concorrenza e di come garantire la democrazia.

Una questione è se la politica debba porre regole che assicurino una nuova governance di Internet, certamente non ostacolando gli sviluppi economici, ma contrastando possibili degenerazioni. A questo proposito, si potrebbe rivedere la disciplina di tutela del diritto
d’autore in modo tale che questa sia adeguata alle innovazioni tecnologiche ed economiche
del web. In altre parole, sarebbe opportuno tutelare maggiormente gli operatori che producono i contenuti editoriali, sopportandone i costi (per esempio un articolo o un film), che vengono poi utilizzanti nel cyberspazio. Andrebbe assicurata una remunerazione adeguata per lo sfruttamento economico delle opere dell’ingegno da parte di soggetti diversi da quelli che le hanno prodotte e che utilizzano questi contenuti nell’universo della rete. Su tale terreno l’Autorità antitrust italiana sta lavorando per arrivare eventualmente a una proposta organica.

Giovanni Pitruzzella
Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato

Articolo pubblicato sul numero di Formiche di Gennaio

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