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C’è molto di più di quello che sembra dietro quel dato diffuso fa dalla Banca d’Italia secondo il quale gran parte degli italiani non reputa di avere un reddito adeguato alle proprie necessità.

C’è l’evoluzione di un popolo, guidata non dalla genetica ma dall’economia, che ha smesso di essere la formica del mondo e ha tentato senza troppo successo di essere una cicala. Non abbiamo bruciato i risparmi per goderci la vita. Ma solo per tirare avanti.

Il trentennio trascorso regala alle statistiche economiche una popolazione che troverebbe ragionevole risparmiare, ma non ci riesce, e vorrebbe anche consumare, ma non può.

Questo dilemma ancipite è il destino contemporaneo dell’italiano medio.

I dati sull’andamento del risparmio, contenuti in due occasional papers della Banca d’Italia, sono stupefacenti. Il picco di tasso di risparmio le famiglie italiane lo raggiungono nel 1983, quando supera il 27%. Da allora il calo è costante e progressivo.

L’altro picco, stavolta al ribasso, le famiglie italiane lo sperimentano nel 2000, quando il tasso di risparmio scende intorno al 10%. Solo che poi è peggiorato ancora. Dopo una breve ripresa fra il 2001 e il 2002, con l’ingresso dell’euro riparte l’erosione del risparmio che nel 2008, prima quindi della Grande Crisi, è già tornato al livello del 2000, per scendere sotto quota 9% (precisamente l’8,6%) nel 2011.

Per dare un’idea della portata di questo cambiamento nel costume nazionale, vale la pena confrontarci con gli altri. Nel ’95, quando ancora la propensione nostrana al risparmio stava sopra il 20%, eravamo davvero le formiche d’Occidente. Sotto di noi ci stava solo la Germania, che si collocava intorno al 17%, mentre la media euro era intorno al 14%. I paesi anglosassoni, notoriamente poco inclini al risparmio, quotavano circa il 9% (GB) e 5% (Usa).

Questa virtù – ricordiamo che a livello macroeconomico al risparmio corrisponde la capacità di investimento – l’abbiamo perduta negli anni. Nel 2000, primo anno nero del risparmio italiano, la Germania ci supera, ma rimaniamo sopra la media Ue.

Nell’età dell’euro il risparmio italiano cola a picco. La propensione scende a quota 12% nel 2011, al di sotto della media Ue, mentre quella tedesca rimane stabile più o meno al livello del ’95.

Sono i tedeschi ormai le formiche d’Occidente.

Cos’è successo? E’ successo che da un certo punto in poi le curve del reddito lordo e dei consumi si sono divaricate drammaticamente.

Fatto 100 il livello dei redditi e dei consumi nel 1980, fino al 1987 la curva del reddito rimane sopra quella dei consumi. E poiché il risparmio è la differenza fra reddito e consumi, ecco spiegato perché nel 1983 abbiamo raggiunto il picco di risparmio.

Fra il 1987 e il 1992 le curve camminano quasi sovrapposte. Quindi la divaricazione.

Il 1992 si conferma ancora in un’occasione l’anno di svolta della società italiana.

Dal 1992 la curva dei redditi si schiaccia e quella dei consumi si impenna. Diventiamo cicale. Usiamo i risparmi per pagarci i consumi.

Al picco di crescita dei redditi, registrata nel 2007, l’indice misura circa 143, appena il 43% in più rispetto al 1980, mentre la curva dei consumi, sempre nel 2007, supera quota 160. Quei venti punti di differenza fra i due indici spiegano perché sia sprofondato il risparmio.

Dal 2008 al 2011 la curva dei redditi cala molto più drammaticamente rispetto a quella dei consumi. Non siamo più formiche, e l’assottigliamento del risparmio blocca anche i consumi. L’austerità fa il resto. L’indice dei redditi, a fine 2011, scende a 137 (quindi abbiamo perso  potere d’acquisto); l’indice dei consumi oscilla sempre intorno a 160. Quasi un inno al vorrei (consumare) ma non posso. E il risparmio continua a calare.

Conclusione: da dieci anni abbiamo smesso di essere formiche, dal 2008 di essere cicale.

Siamo solo italiani.

Quando eravamo formiche

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