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Via libera della Camera al decreto legge salva-Taranto, predisposto dal governo per consentire all’Ilva di riavere la disponibilità dei beni, di continuare a produrre e soprattutto di commercializzare i prodotti lavorati finiti, anche quelli che sono bloccati sulla banchina del porto perché sottosequestro da parte della Magistratura.

Sul provvedimento, che ha incassato la fiducia numero 51 di questo governo, c’è stata una ‘’larga maggioranza’’, come ha sottolineato anche il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, presente oggi in Aula per la votazione: 421 sì, 21 no e 49 astenuti.

“E’ un provvedimento chiave per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese – ha detto Clini subito dopo il voto – perché ha stabilito regole di protezione dell’ambiente, della salute e dell’attività industriale. E’ importante per l’Ilva di Taranto e per molte altre attività industriali del Paese che devono affrontare la sfida dell’innovazione tecnologica e della protezione della salute”. Ora, ha proseguito il ministro, “l’Ilva deve sostenere i costi di risanamento ambientale come prescritto dall’Aia”. Nello stesso tempo è escluso un “conflitto con la magistratura: abbiamo creato le condizioni per un rapporto chiaro, sarà più semplice per tutti fare il proprio mestiere”.

Il decreto legge ha subito, da parte delle commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio, anche alcune modifiche che sembravano inizialmente escluse. Il testo, che ora passa a Palazzo Madama, è composto da 5 articoli. Sostanzialmente la “sterzata” del decreto è verso “un miglioramento, in modo più esplicito, della componente salute”, come aveva messo in evidenza lo stesso Clini a margine dei lavori delle commissioni alla Camera.

La modifica più significativa riguarda quella introdotta proprio dal governo con un emendamento all’art.3, comma 3, per garantire la commercializzazione dei prodotti: “Per un periodo di trentasei mesi” l’Ilva di Taranto è “immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata alla prosecuzione dell’attività produttiva nello stabilimento ed alla commercializzazione dei prodotti, ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Con questo emendamento si supera il sequestro disposto dalla Magistratura tarantina sui prodotti di questi mesi, fermi perché ritenuti “prova” di reato.

Altra modifica importante al provvedimento è quella apportata dall’inserimento dell’art. 3-bis, relativo a un “Piano sanitario straordinario in favore del territorio della provincia di Taranto”. Sostanzialmente, per “contrastare le criticità riscontrate dalle evidenze epidemiologiche” l’azienda sanitaria di Taranto viene derogata, per il triennio 2013-2015, dall’applicazione di alcune restrizioni previste dal piano sanitario (relativo all’azienda di Taranto, e nel limite di spesa di 10 milioni di euro annui), come per esempio disposizioni relative alla limitazione del turn-over, dei posti letto (in base al Piano di rientro sanitario regionale).

Il decreto prevede (art. 1, comma 3) in caso di “mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento” una “sanzione amministrativa” pari al 10% del fatturato della società dell’ultimo anno. Tra le modifiche apportate dagli emendamenti, alla figura del garante (che sarà nominato entro 10 giorni dalla conversione del provvedimento) viene chiesto di prendere le necessarie informazioni da parte dell’azienda e di segnalare “eventuali criticità proponendo misure idonee, compresa l’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria”. Sempre il garante, con l’obiettivo di ristabilire un clima di fiducia tra istituzioni e cittadini, promuove iniziative di informazione per “assicurare la massima trasparenza”. Inoltre, l’art. 3, comma 1-bis prevede che entro 180 giorni dalla conversione del decreto il governo adotti una strategia industriale per la filiera dell’acciaio.

Come cambia il decreto salva Taranto

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