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La prima serata del Festival di Sanremo 2013 si caratterizza per un caso particolarmente spietato di ibridazione dei generi, di “politica pop”: il comico Maurizio Crozza, al termine della canzonetta interpretata nei panni di Silvio Berlusconi, è oggetto di fischi e insulti provenienti dalla platea dell’Ariston. A prescindere dal numero dei contestatori (due sull’intera platea?), quel che più interessa è la dinamica: quei fischi, quegli insulti, sono ben noti a chi studia la comunicazione politica, sono quelli di chi, “infiltratosi” al comizio di un leader della parte avversa, manifesta la propria diversa opinione e al tempo stesso tenta di “guastare la festa” all’avversario.

Ma se la situazione è questa, abbiamo un problema. È un fatto che nell’era della “pop politics” (Mazzoleni, Sfardini, 2009) gli steccati di separazione tra i generi siano caduti o si reggano ancora su pochi, malfermi paletti. Questo vale anzitutto per i contenitori – Berlusconi è stato ospite a UnoMattina: questo costituirebbe una violazione della par condicio se UnoMattina non fosse un programma di informazione politica; ma è possibile identificare univocamente un programma di informazione politica? Alcune puntate di Porta a Porta non sono forse più adatte al format di UnoMattina che a quello di Tribuna Politica? Ma vale anche per i soggetti sulla scena: è innegabile che nella costruzione e autogestione della propria immagine mediale, fondamentale sin dagli albori della politica spettacolo (Statera, 1986) il leader oggi debba considerare fra le prime variabili in campo l’immagine che la satira costruisce di lui. Crozza è un esempio perfetto: non solo è uno dei pochi comici a confrontarsi stabilmente con un istrionico Berlusconi, dipingendolo come un manigoldo, uno chansonnier senza morale ma ricco di charme, ma è il comico che ha “lanciato” (sic) la figura di Pier Luigi Bersani, la metafora più ardita del centrosinistra.

Dunque, Crozza è un soggetto politico. Ma in che senso? A rigore, perché fa opinione, in qualche misura media tra politici e pubblico offrendo dei primi una versione semplificata e iperrealistica che giovi ai secondi per costruire quel rapporto di empatia che va poi a confluire nella maturazione di un’opzione di voto. Ma nel momento in cui viene contestato a Sanremo come un leader di partito durante un comizio, allora il quadro cambia drammaticamente. Allora Crozza, politico a tutti gli effetti, deve subire la legittima espressione di un’opinione contraria a quella di cui politicamente si fa portatore. E l’Ariston in realtà è Piazza San Giovanni. O quella piazza del Duomo a Milano in cui Berlusconi, dopo essere stato contestato, viene colpito al volto da una statuetta-souvenir.

È vero pure che il palco dell’Ariston non è nuovo a contestazioni rivolte al “comico di punta” – ricordiamo lo scontro tra Giuliano Ferrara e Roberto Benigni. Ma in questo caso è, come ha lamentato un Crozza in grandissima difficoltà, “il pubblico” a contestare, non un altro attore sulla scena. Il portato “politico” dell’azione di coloro che hanno iniziato gridando “no alla politica nel Festival” è evidente.

Sembra una ricostruzione coerente. Il problema è che Crozza ha ospitato Bersani a Italialand, e questa è politica pop, ma ha rifiutato di intervenire alla convention del Partito Democratico accanto al suo segretario, e questa è affermazione della propria indipendenza di comico, di uomo di spettacolo che “castigat ridendo mores”, laddove questi ultimi appartengono tanto al centrodestra quanto al centrosinistra. Il problema è che un politico contestato sa come comportarsi, è nel suo elemento, se è un grande comunicatore sa perfino come trarne giovamento. Un artista no, e chi scrive ha sentito una pena infinita nel vedere un intrattenitore trattato alla stregua di un politico ieri sera a Sanremo.

di Christian Ruggiero
Coordinatore dell’osservatorio Media monitor politica del dipartimento Coris delle Sapienza

Articolo pubblicato sull’Osservatorio Mediamonitor politica 

L'Ariston come piazza San Giovanni

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