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E se il Cavaliere avesse contribuito a chiarire la situazione? La reazione di Mario Monti e l’annuncio delle dimissioni anticipate, fa pensare proprio che sia così. Proviamo ad esaminare il nuovo scenario politico, fuori dallo schiamazzo delle anticamere, ma anche lontano dall’inevitabile speculazione dei mercati.

Silvio Berlusconi torna in campo anche contro il consiglio dei suoi intimi, per una serie di motivi, molti dei quali personali (i processi e il terrore di essere tagliato fuori per via giudiziaria, la hybris, una buona dose di megalomania, ecc.). Meno convincente è la spiegazione che abbia agito solo in base agli interessi di bottega, perché se vince, certo, dà una bella lucidata alle sue aziende appannate e acciaccate dalle crisi; ma se perde la vendetta dei nuovi padroni del vapore questa volta sarà implacabile. E non verrà solo dalla sinistra. Anzi, da quella parte il Cavaliere ha meno da temere rispetto ai colpi che potrebbe subire se vincono i moderati e se si ricompatta il sistema bancario-industriale del nord ovest (i cosiddetti poteri forti) che lo ha mala mente sopportato.

Oltre a tutto ciò, c’è anche una ragione politica di fondo che pochi hanno considerato: a destra è scoppiata, nel momento in cui Berlusconi ha detto che non si sarebbe presentato, la guerra di tutti contro tutti, l’offerta politica si è spappolata, non sono emersi personaggi nuovi e tanto meno idee che dessero lievito a nuovi potenziali leader. Con una Lega che mantiene il suo zoccolo duro nelle valli del lombardo-veneto e si riorganizza attorno a Roberto Maroni, con un Beppe Grillo che raccoglie tutto il malumore qualunquista e anti-sistema che in parte si era riversato sull’asse Bossi-Berlusconi, con i liberali rimasti come cani perduti senza collare per dirla con il grande scrittore cattolico Gilbert Cesbron, il tracollo era già scritto. Il ritorno del Cavaliere crea una diaspora tra i moderati, ma è una piccola pattuglia di un esercito spinto sempre più a destra, su una linea che oscilla tra il lepenismo e un post-gollismo nazionalista e vendicatore.

Anche a sinistra la vittoria di Pier Luigi Bersani ha cristallizzato un fronte molto tradizionale. E’ vero, il successo di Matteo Renzi ha reso chiaro che nel Pd e tra i suoi simpatizzanti esiste un forte nucleo, diciamo circa un terzo, attratto da una ipotesi post-blairiana. Tuttavia, ha vinto l’asse gauchiste ed è anche in base a questi sviluppi che Berlusconi ha pensato di rassembler la droite. Per lui una campagna a muso duro contro Bersani, gli ex comunisti, i seguaci della fatua narrazione vendoliana, è un vero invito a nozze. E non è affatto scontato che non possa prevalere o quanto meno avere un risultato tale da condizionare in modo pesante il prossimo parlamento.

In questo scenario, è arrivato il colpo di reni di Monti. Deluso, offeso dalla brusca svolta del Pdl, privato di qualsiasi capacità decisionale, non ha perso il sangue freddo e ha deciso di non farsi roso lare a fuoco lento. Se quella di Berlusconi è stata la mossa del cavallo, quella di Monti può essere definita il contrattacco dell’alfiere. Soprattutto se egli stesso ne trarrà la logica conseguenza: candidarsi come leader dello schieramento moderato. Nei prossimi giorni forse si saprà, visto che sono programmati alcuni incontri con il nucleo che ha spinto per creare un “partito montiano”. Ma se non lo fa, allora davvero perde un’occasione d’oro e con lui la politica italiana.

Il professore può gettarsi nella gara per il Quirinale, ma è troppo complicata e pericolosa. Chi entra presidente quasi sempre esce parlamentare. Non sono questi i tempi di Carlo Azeglio Ciampi e del voto bipartisan. Ma anche se questo fosse il suo obiettivo, avrebbe bisogno di passare attraverso una vera competizione che non lo faccia apparire come l’eterno generale senza truppe. Con una legittimazione popolare (importante anche se non dovesse arrivare primo), potrebbe far valere sul mercato politico il suo effettivo peso. Si è detto che il vero desiderio di Monti sia sostituire Hermann van Rumpuy al vertice dell’Unione europea. Tuttavia, se ne parlerà nel 2014 e comunque deve trovare un sostegno politico in patria: se sparisce dalla scena rischia di non avere nessuno che lo proponga. Se invece gioca la sua partita a volto scoperto, ha molte più probabilità.

Un partito di Monti potrebbe senza dubbio ottenere un risultato politico consistente. Soprattutto avrebbe il merito di semplificare la politica italiana: una destra sempre più a destra, una sinistra tradizionale sia pur attraversata da pulsioni nuove e un centro moderato affidato alla personalità che, lo si voglia o no, ha rappresentato la principale novità italiana, anche agli occhi dei partner europei e degli Stati Uniti. Niente Monti bis come risultato di alchimie di vertice. Anzi niente bis. Un successo di Monti sarà legittimato dal consenso tra i ceti sociali che si riconoscono in una piattaforma europeista e tra i partiti disposti a sostenerlo. Tutto più chiaro. Come se fossimo una democrazia normale. Anche se non sarà un pranzo di gala, molto meglio che tornare alla Bocconi.

Bene, bravo, bis. Monti (di nuovo) premier

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