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La ricerca medica è tradizionalmente associata a grandi investimenti centralizzati nelle strutture e nei laboratori della sanità pubblica o di grandi gruppi privati. Nel settembre 2011 la multinazionale Usa GE ha cambiato le carte in tavola, aprendo la “Open innovation challenge” per la cura del tumore al seno. Con questa iniziativa aperta a ricercatori, imprese e studenti sono state raccolte idee e proposte per la cura di questo male, ma si sono anche modificati i confini dell’industria, che si è resa più aperta, più disponibile a una decentralizzazione degli sforzi e delle intelligenze. Fin qui, tutto bene: il portale apre a una personalizzazione delle soluzioni mediche, il “controllo del potere” viene ridimensionato.
 
Ma i sostenitori di una medicina democratica e decentrata dovranno anche considerare il lato B di questa storia apparentemente edificante.
 
Nell’ultimo numero di The Atlantic, Andrew Hessel, Marc Goodman e Steven Kotler disegnano uno scenario futuribile ma non troppo, visto che viene proiettato al 2016: una open challenge su Internet spinge comunità collaborative a sviluppare un vaccino su specifica; il disegno migliore riceve 500 dollari e viene consegnato ad un “bio marketplace” di Shangai che trova subito il produttore; un’azienda chimicofarmaceutica islandese.
 
In pochi giorni il pacchetto viene consegnato a una studentessa di Harvard, che aveva ordinato su Internet una droga psichedelica. Gli effetti sono minimi sulla ragazza che, a parte una lieve febbre, non si accorge di nulla. I suoi starnuti diffondono agenti microbiologici assolutamente innocui per tutti, tranne che per una persona: il presidente degli Stati Uniti. Il quale, proprio in quella settimana, dovrà parlare ad Harvard.
 
Il committente sapeva infatti che la combinazione di quegli agenti microbiologici con il Dna presidenziale avrebbe avuto effetti devastanti – perdita della memoria e/o morte.
 
Le tecnologie disponibili sono già presenti, dicono gli autori. Gli Stati Uniti sono tra l’altro all’avanguardia nella “sicurezza biometrica” dei leader.
 
La questione è confermata da Wikileaks. Un cablo del dipartimento di Stato del 2009 sollecita la raccolta del Dna di alcuni leader africani. La medicina personalizzata sta conoscendo una seconda primavera, ma così anche le prospettive di micro-armi biologiche, usate per colpire non più masse sconfinate di cittadini inermi, ma i responsabili della politica di un Paese ostile. Il veicolo di queste micro-armi potrebbero essere i micro-droni simili ad insetti che qualcuno sostiene di avere già visto in circolazione durante manifestazioni per la pace negli Stati Uniti.
 
La diffusione delle conoscenze e delle abilità manipolative biosintetiche, dunque, prospetta un futuro in cui “più democrazia” non vuol dire “più sicurezza”. E in cui gli eccessi “liquidi” della deriva della sovranità post-moderna prospettano, nella disgregazione dei soggetti centralizzatori (pubblici e privati), gli spazi in cui vincono non il civismo o lo spontaneismo, ma gli interessi criminali ed eversivi.
 
La comunità strategica e dell’intelligence è stata avvertita. Ha ancora qualche anno di tempo per mettere in campo contromisure e impedire scenari da incubo che minacciano, in definitiva, non solo la sicurezza ma la stessa democrazia. Non quella virtuale e idillica delle utopie/distopie anti-controllo, ma quella concreta e reale che esiste oggi in occidente.
 

Aiuto, ci prendono il Dna!

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