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Tre esponenti del Pkk – due di loro importanti dirigenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) – sono state uccise stanotte a Parigi. In Turchia le domande sono due: chi ha ucciso le tre donne, sparando a freddo un colpo alla nuca? E qual è il futuro dei negoziati di pace fra Ankara e il Pkk dopo questa vicenda?

Sulla paternità dell’attentato si dovrà attendere l’esito delle indagini francesi, ma fra le parti potenzialmente in causa è già scattata la gara al rimpallo di responsabilità. Il vicepresidente dell’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo sviluppo, Huseyin Celik, ha liquidato la faccenda come “un regolamento di conti all’interno del Pkk”.

Dopo poche ore è arrivata la dichiarazione di Zubeyir Aydar, dirigente per l’Europa del Pkk, che ha in qualche modo rispedito le accuse al mittente, sottolineando la matrice turca del triplice omicidio, e chiamando in causa “forze oscure”.

Il premier Erdogan preferisce aspettare la conclusione delle indagini ma ha già parlato di “regolamento interno o provocazione”, segno che ritiene che in ogni caso la responsabilità di quanto accaduto è da addossare al campo curdo. In ogni caso, sia gli uni che gli altri sembrano concordare su un aspetto: gli omicidi parigini vanno contro il dialogo tra Stato turco e Pkk.

Secondo Fatih Altayli, editorialista del quotidiano Haberturk, la trattativa avviata mette in difficoltà soprattutto l’organizzazione separatista. “Abdullah Ocalan – ha spiegato Altayli all’agenzia Tmnews – è l’attore principale, ma non è detto che tutto il Pkk sia disposto ad accettare le sue condizioni”.

Il problema è proprio questo: quanto Ocalan, capo spirituale indiscusso dell’organizzazione e fondatore del Pkk, possa ancora governare direttamente le diverse frange del movimento. Alcune di queste potrebbero non essere favorevoli all’abbandono della lotta armata, anche per gli interessi economici e i traffici di droga che interessano il sud-est turco e il Nord Iraq, dove, secondo l’esercito turco, trovano rifugio proprio le frange più pericolose dei separatisti.

Lo scenario sembra quello di una trattativa dove il premier Erdogan, che appare sempre più interessato solo alla conquista della presidenza della Repubblica, si prospetta come colui che ci guadagna. Se il premier dovesse riuscire a risolvere l’annoso problema della minoranza curda, allora passerà alla storia come il più grande statista dopo Mustafa Kemal Ataturk, il fondatore dello Stato turco moderno. E questo gli garantirebbe un vantaggio enorme nella corsa alla prima carica dello Stato.

Se le correnti dell’organizzazione terrorista dovessero agire come mine impazzite, al premier rimarrebbe comunque l’arma, indispensabile, nella corsa alla presidenza della Repubblica, di aver cercato di risolvere il problema numero uno della Turchia moderna.

Visto in quest’ottica, Ocalan, che molti quotidiani fino a ieri davano ancora come colui che può dettare le condizioni dei negoziati, adesso rischia di finire per diventare l’anello più debole della catena. Ostaggio sia di Erdogan, sia delle schegge impazzite del Pkk e delle nuove ombre gettate dalla vicenda parigina.

Un altro colpo al negoziato di pace tra il Pkk e la Turchia

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