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Sono trascorsi quattro anni da quando, nel 2008, scegliemmo di non aderire al Pdl e al modello bipartitico, frutto di una comune visione da parte di Veltroni e Berlusconi. All’epoca, eravamo in splendida solitudine. Fu quello il Terzo polo. Eravamo condannati a scomparire sotto la soglia di sbarramento. Gli elettori ci hanno premiato, scegliendo di votarci anche se non avremmo mai potuto concorrere alla vittoria. Abbiamo tenuto il punto, anche quando era scomodissimo. Poi, nei mesi successivi, l’illusione dei due grandi partiti è svanita.
 
L’idea terzista ha conquistato consensi parlamentari e nel Paese. Il governo Berlusconi è infine caduto sotto le macerie delle sue irrisolvibili contraddizioni. Essendo stati all’opposizione sia del centrodestra sia del centrosinistra di Prodi, avremmo potuto lucrare su questa posizione che da scomoda era divenuta, per molti versi, comoda. Invece abbiamo preferito assumerci la responsabilità di sostenere senza tentennamenti l’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti. Sapevamo benissimo che ci avrebbero attesi mesi difficili e scelte impopolari. Avremmo potuto imboccare una scorciatoia che avrebbe però portato a un vicolo cieco, oppure scegliere la strada più impervia che conduce alla messa in sicurezza del Paese. Abbiamo scelto. Ci siamo sporcati le mani, credendo in una azione di governo non semplice e non popolare. Non ci aspettiamo gli applausi. Ma non possiamo non rivendicare di avere visto, ben prima e ben meglio di tanti altri, quello che stava accadendo e quello che in termini di assetto istituzionale sarebbe stato più giusto. Lo ricordo per rivendicare un merito, ma anche per dire con chiarezza che quella fase storica si è, comunque la si giudichi, esaurita.
 
Il Terzo polo è stato una scelta audace e giusta. Bisognava sfidare il falso duopolio e la battaglia è stata vinta. Adesso, lo scenario è completamente diverso. I due poli si sono sfarinati e l’intero quadro politico appare frammentato e sconquassato. La cattiva politica ha finito per alimentare l’antipolitica. Il successo delle liste di Beppe Grillo è più di un campanello d’allarme e cercare di mistificarle è un esercizio vano, quando non controproducente. La verità è che il divario fra la domanda di buona politica e l’offerta partitica assomiglia a una voragine incolmabile. Sembra. In realtà però abbiamo un obbligo che non è la garanzia della continuità di ciascuno di noi in ruoli di leadership. No, abbiamo l’obbligo di non lasciare solo macerie a chi verrà dopo di noi.
 
Per questa ragione, ritengo che la missione che deve vederci impegnati nei prossimi mesi riguarda la ricostruzione di una nuova proposta elettorale. Non servivano prima, né tanto meno ora, accrocchi o operazionidi lifting. Serve invece allontanare l’Italia dalla deriva greca (economica, ma anche politica) e avvicinarla all’esperienza e alla tradizione francese ed europea. Dovunque, nel Vecchio come nel Nuovo continente, si confrontano elettoralmente proposte di governo, non cartelli pubblicitari. Lo scontro fra Sarkozy e Hollande è stato durissimo. Ma lo è stato sui programmi, sull’idea di Europa, sul fiscal compact. Dopo il passaggio di consegne, che è stato di esemplare eleganza, il divario fra le posizioni si è già ridotto. Segno che in una democrazia matura, che è quindi in grado di arginare le tentazioni populiste, quello che conta è governare nell’interesse del proprio Paese. Questa è stata, ahinoi, una chimera nella Seconda repubblica. Quello di avere coalizioni rissose e inconcludenti è un lusso che non possiamo più permetterci e che gli elettori non sono più disponibili a sostenere.
 
Noi siamo pronti. Abbiamo già avviato il percorso di azzeramento dei vertici del partito e messo in discussione la nostra stessa formazione partitica.Vogliamo concorrere con tutti quelli che vorranno partecipare alla costruzione di una offerta politica più europea in modo paritario e senza presunzioni. Naturalmente, avendo contrastato in passato i pifferai magici, non siamo disponibili ad assecondare tentazioni neo-illusioniste. Negli ultimi due decenni abbiamo immaginato che potesse essere sufficiente la figura di un capo carismatico, di un vate televisivo e ora magari di un vate della Rete. L’obiettivo di riunire i moderati italiani non può essere una foglia di fico dietro la quale nascondere i nodi irrisolti di quello che è stato il centrodestra di questi ultimi diciotto anni.
 
I moderati ai quali intendiamo rivolgerci sono quelli a cui proponiamo scioperi fiscali contro il governo Monti? Sono moderati gli elettori che inneggiano a “Padania libera”? Se il tema è quello di rimettere in campo una Casa delle libertà un po’ riverniciata, l’esito non potrà che essere negativo. I cittadini chiedono chiarezza, non nuovi equivoci. Dobbiamo lavorare avendo chiaro l’obiettivo, che è vincere le elezioni, governare con qualità e stabilità per cinque anni, ma anche costruire un soggetto politico che sia duraturo e la cui vita non dipenda dalle sorti del suo fondatore. Su ambiente, economia, finanza, visione dello Stato e della società, non si tratta né di reinventare il mondo e neppure di dover ricopiare con qualche maquillage vecchie ricette del ‘900.
 
Sulla base di una tradizione politica e culturale ancora vivissima – quella cattolica e quella liberale – dobbiamo da un lato elaborare una visione di lungo periodo e dall’altro mettere insieme un sistema di regole che non siano su misura per congelare gli equilibri di oggi, ma che abbiano una validità anche e soprattutto per il futuro. Ai più giovani dobbiamo offrire l’opportunità di partecipare alla costruzione di una casa politica che sentano loro e che possa poi essere abitata e animata dai loro figli e nipoti. Non possiamo e non vogliamo chiedere uno sforzo di impegno destinato a garantire i loro padri o i loro nonni. Chi ha già avuto tanto, ora deve restituire. È quello che tocca a noi. Il compito che ci attende richiede di allargare lo sguardo e gli orizzonti. Non è il tempo dell’egoismo distruttivo. È l’ora della ricostruzione. Di un soggetto politico che sia duraturo e che rappresenti una piattaforma per il governo dell’Italia e dell’Europa.

Una politica per il governo dell'Italia

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@paferro

Per dire, ha fatto prima la Barilla a trovare l’ad che Pizzarotti a fare la giunta.

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