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La filosofia, si sa, arriva sempre troppo tardi a capire, ma arriva sempre. È questa una variante consolatoria della famosa osservazione sulla nottola di Minerva che fece il grande Hegel. È la consapevolezza che la riflessione umana ha qualcosa da dire su quanto occorre, anche se non sempre possiede la profezia della prima e dell’ultima parola.
 
È possibile misurare la portata della rivoluzione comunicativa contemporanea, materializzata dal web e dalla rete, paragonando la teoria dell’agire comunicativo, pensata da Jurgen Habermas nei primi anni ‘80 del secolo scorso, con l’open space schiuso da Twitter e Facebook. Il sociologo tedesco aveva intuito, infatti, che l’imminente epoca tecnologica sarebbe stata condotta non solo dall’uso strumentale del linguaggio per fini strategici, ma da un tipo di azione pratica sorretta dalla comunicazione d’intesa. Non aveva considerato, invece, che in poco tempo saremmo giunti ad una delocalizzazione completa dei processi sociali con un’informazione senza frontiere, istantanea e universale.
 
D’altronde, la perdita di confini linguistici e cosmici non è una trivialità. Siamo persone che vivono ormai con un’apertura d’orizzonte infinita che rende tutto disponibile in ogni momento della giornata. E ciò ci rende sicuri sovrani specialmente sulle limitazioni corporali che la finitezza del genere umano possiede per natura. La questione seria è semmai come garantire una libertà politica per tutti anche nel nuovo scenario del mondo. Ad esempio, come far sì che la democrazia, con tutte le implicazioni che richiede, possa funzionare anche fuori dalla presenza fisica dei cittadini, con interlocutori che vivono chissà dove e chissà come.
 
Siamo effettivamente parte collettiva di un ordine tecnocratico di attori comunicativi che corrisponde a quella che Karl-Otto Apel chiamava già vent’anni fa una comunità ideale d’interpreti. Protagonisti veri cioè, che s’incontrano però solo virtualmente, che s’interpellano e si scambiano idee senza tuttavia guardarsi mai negli occhi e stringersi la mano. E a sfregio del materialismo storico e dell’alienazione moderna, questa è l’emancipazione nell’era digitale, potendo ciascuno agguantare con un tocco di dita tutti i desideri possibili.
 
Il ciberspazio è, nondimeno, molto noioso, in realtà. È un cosmo in cui la Terra è l’immaginazione soggettiva, e il mondo intero un roteare di concetti mentali attorno al microcosmo culturale di ognuno, senza che sia facile allargare gli orizzonti. Qui sta l’originalità rispetto alle teorie comunicative del ‘900. La rivoluzione di Internet non è un evento post-moderno di estraneazione dalla verità; è una trasformazione della realtà a partire dalla conoscenza e dalla volontà collettiva dell’umano. Un potere sull’essere delle cose che ha reso la democrazia non governata dalla coscienza pubblica individuale.
cyber

Eppur si muovono (i concetti nel cyberspazio)

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