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Il carattere dei conflitti e delle crisi evolve continuamente, poiché riflette normalmente i cambiamenti della società in cui essi si generano. Gli scenari che oggi si presentano e che già sono riscontrabili in parte nei teatri operativi in cui le nostre forze operano, possono definirsi assai complessi se non addirittura caotici.
Questi scenari impongono necessariamente uno strumento militare parte di un dispositivo intergovernativo e molto probabilmente multinazionale che, seguendo un approccio multi-dimensionale, deve supportare la tutela degli interessi nazionali verso gli end state definiti dalla politica.
È chiaro quindi che il focus militare è, e deve rimanere, centrato sulle “operazioni”, includendo con esse, le capacità e le forze necessarie alla loro pianificazione e conduzione. Operazioni che ci vedranno coinvolti principalmente, e probabilmente, fuori dai confini nazionali, ma anche pronti a supportare l’eventuale contributo richiesto per possibili crisi (calamità naturali e non solo) all’interno della madrepatria.
 
Di fatto, però, l’evoluzione delle minacce, rese ancora più insidiose da meccanismi di globalizzazione facilmente utilizzabili, rende sempre più permeabili e artificiose le frontiere tradizionali. Non dico nulla di nuovo affermando, quindi, che la canonica distinzione tra problematiche in materia di difesa e quelle di sicurezza potrebbe essere molto sfumata, e molto più difficile da percepire, specialmente nel dominio cibernetico.
È già ormai acclarato che la soluzione di queste crisi richiede un’azione “integrata”, concertata o multi-dimensionale (sulla base della cosiddetta metodologia del Comprehensive approach), sin dalla fase di prevenzione, poiché i problemi complessi necessitano di un approccio non lineare, mirato all’utilizzo di tutti gli elementi del potere di una nazione, e quindi delle future coalizioni, per generare effetti coerenti verso un end state condiviso.
Tutto questo si complica ulteriormente quando, ai noti ambienti operativi (terrestre, marittimo ed aereo), si affiancano ambienti emergenti quali lo spazio e il cyberspazio.
 
Mentre la conoscenza e l’accesso allo spazio extra-atmosferico sono già da alcuni anni oggetto di numerose iniziative, vi sono una serie di sfide, ancora non definite, che attengono al cyberspazio. Un nuovo “terreno” di possibili minacce che spinge, oltre i confini nazionali, il dispiegamento degli assetti di difesa, entrando in un mondo virtuale costituito dal web, dal flusso di Internet, dai sistemi e dalle reti di comunicazione.
È evidente che le minacce operanti in tali ambienti, e le azioni anche non cinetiche ivi condotte, possono creare effetti, di ampiezza e possibile ripercussione a carattere strategico, potenzialmente afferenti all’intero “sistema-Paese”.
Nell’information age, le tecnologie (dell’informazione e comunicazione-Ict), garantiscono un elevato grado di dominanza ma, nel contempo, costituiscono un forte elemento di vulnerabilità. Se solo si pensa a quali e quanti settori sono dipendenti da queste tecnologie (energia, trasporto, finanza, governance, infrastrutture, salute, informazione, difesa e sicurezza) e dalle relative infostrutture, si evince chiaramente quale possa essere il livello di rischio al quale ci si espone.
 
È quindi legittimo chiedersi come agire per comprendere, mantenere l’accesso e poter operare nel cyberspace, al fine di conservare e proteggere gli interessi nazionali. Il mondo militare, in particolare, vive da qualche anno una fase di profonda trasformazione verso il concetto “Network enabled capability”, principalmente applicato all’infostruttura C4istar. Tali capacità di “Defence information infrastructure” sono un requisito importantissimo per le operazioni nonché, d’altro canto, un elemento di criticità in termini di interoperabilità nazionale e di coalizione. L’obiettivo finale è quello di raggiungere una condizione di preminenza o di vantaggio nei confronti dei potenziali opponenti e/o avversari, nel dominio informativo, tecnologico, organizzativo e decisionale.
Il nostro obiettivo principale anche nel cyberspace è quello di continuare ad assicurare la condotta delle operazioni, che anche nel nostro concetto di base nazionale abbiamo definito proprio “Computer network operation”.
 
Operazioni militari che si basano sullo sviluppo capacitivo di tre pilastri fondamentali: la difesa, l’analisi e lo sfruttamento dei dati e l’attacco. Ritengo le prime due prioritarie, almeno nel medio periodo, per i seguenti motivi: innanzitutto perché coerenti con lo spirito della nostra Costituzione; poi perchécoerenti con gli orientamenti di policy che si stanno delineando in ambito alleato ed europeo. Su questo aspetto il comparto tecnico-militare può fungere da elemento di armonizzazione in merito a possibili standard, prescrizioni, disposizioni e requisiti provenienti dalla Nato e dall’Unione europea, massimizzando l’interoperabilità con la presidenza del Consiglio e con gli altri dicasteri oltre che con le amministrazioni del Paese; ed infine, la difesa, l’analisi e lo sfruttamento dei dati costituiscono i due pilastri su cui si catalizzano naturalmente gli interessi militari, quelli intergovernativi e quelli della società civile nazionale, sia nel pubblico sia nel privato, prospettando quindi opportunità di concrete e sinergiche condivisioni.
Quello che manca è però un meccanismo che armonizzi tali capacità e prerogative, così come già sottolineato dal Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir).
In tale contesto, le sfide che dovremo affrontare esigono che l’Italia sviluppi la volontà e la capacità di fare sistema, di essere protagonista con proprie iniziative, sia in campo nazionale sia in quello internazionale. Iniziative che, a differenza del passato, prevedano una completa integrazione multi-dimensionale delle strutture decisionali, militari e civili, per garantire risposte pronte, efficaci e giuridicamente compatibili.
 
Anticipazione dal volume Cyber space e sfida alla sicurezza nazionale, Ce.Stu.Di.S., 2011, per gentile concessione dell’autore

Perché serve fare sistema

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