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Tra Inghilterra e Galles risultano attualmente registrati circa 180mila enti di beneficenza, senza contare le migliaia di associazioni e organizzazioni benefiche che non sono giuridicamente tenute a registrarsi, perché il loro reddito annuo ammonta a meno di 6mila euro. Questi 180mila enti di beneficenza sono sostenuti da centinaia di migliaia di amministratori, volontari, collaboratori e da milioni di donatori e filantropi.
Lo scorso anno, il reddito complessivo degli enti di beneficenza in Inghilterra e Galles ha superato i 60 miliardi di euro. Ciò equivale a più di 1100 euro per ogni persona che vive in Inghilterra e Galles.
Un’altra caratteristica particolare del settore della beneficenza nel Regno Unito è l’eterogeneità. Gli enti di beneficenza variano enormemente in dimensione, settore di attività e finalità benefiche: alcuni degli enti di beneficenza più importanti dispongono di un reddito annuo di centinaia di milioni di euro; per contro, molti altri ne gestiscono poche migliaia l’anno. Alcuni lavorano esclusivamente in una sola area circoscritta, come un villaggio, altri svolgono vaste operazioni internazionali e gestiscono progetti in tutto il mondo. (…)
Nel Regno Unito non c’è praticamente nessun ambito della vita che non sia toccato, in qualche modo, dalle attività di un qualche ente di beneficenza. (…)
È chiaro che gli enti di beneficenza nel Regno Unito, e sono sicura che lo stesso vale anche per gli enti di beneficenza in Italia, dovranno affrontare sfide difficili nei prossimi anni.
 
Centinaia di migliaia di lavoratori del settore pubblico si troveranno senza lavoro.
Il tenore di vita si sta drasticamente ridimensionando per via della diminuzione del valore relativo dei redditi. E le modifiche ai sistemi di previdenza sociale e di edilizia popolare interesseranno tante persone a basso reddito. Molti commentatori temono che la Gran Bretagna stia entrando in un periodo di austerità mai vissuto in una generazione. Quindi è ovvio che gli enti di beneficenza dovranno lavorare sodo per convincere la gente a donare di più. Le cifre mostrano che i livelli delle donazioni sono rimasti abbastanza costanti negli ultimi venti anni.
Una ricerca pubblicata nel mese di febbraio ha rivelato che, nel 2008, lo 0,4% della spesa delle famiglie nel Regno Unito è andato in beneficenza. Il dato è rimasto praticamente invariato dal 1988.
Tuttavia, ci sono ragioni per sperare che le donazioni filantropiche possano venire in soccorso degli enti di beneficenza o, per lo meno, di alcuni di loro. Per esempio, effettuare una donazione è sempre più facile. Gli enti di beneficenza hanno tratto vantaggio dai progressi della tecnologia e, adesso, la gente può disporre una donazione mentre fa acquisti on-line. Qualcosa si muove anche nel settore bancario per consentire alla gente di effettuare una donazione ogniqualvolta preleva denaro da un Bancomat. E i siti dei social network permettono agli enti di beneficenza di entrare in contatto con i donatori, e i potenziali donatori, con un approccio molto più personale e interattivo, approccio che non sarebbe mai stato possibile in passato. Attraverso mezzi come Facebook e Twitter, i sostenitori possono diventare promotori e ambasciatori delle organizzazioni di beneficenza, piuttosto che esserne soltanto donatori passivi.
 
Parallelamente, ci sono siti Internet che aiutano i potenziali donatori a individuare la causa più adatta a loro.
Localgiving, per esempio, è un’iniziativa on-line che aiuta le persone a scegliere il progetto di una fondazione di Comunità, a favore del quale effettuare donazioni, mettendo a loro disposizione la possibilità di fare ricerche per zona e per attività benefica.
Tutti questi sviluppi contribuiscono a promuovere nuove forme di “micro-filantropia”, consentendo alla gente di donare somme modeste rapidamente e con facilità. (…)
 
Vi sono anche prove di una nuova generazione di filantropi di gran valore, si tratta spesso di giovani che hanno fatto fortuna e ora vogliono contribuire a cambiare le cose.
Ne è un rappresentante David Erasmus, un filantropo britannico di origine sudafricana che, all’età di 21 anni, ha venduto la sua società di marketing on-line e da allora si dedica a opere filantropiche.
Egli è un esempio di quello che si definisce venture philanthropy ovvero capitalismo filantropico, cioè persone che sfruttano l’esperienza e le capacità acquisite nel mondo degli affari per realizzare mutamenti sociali.
Spesso i filantro-capitalisti aiutano a migliorare proprio gli enti di beneficenza che, a loro parere, contribuiscono a cambiare le cose.
Spesso la loro azione si concentra sulla risposta a un’esigenza specifica e ben individuata, a prescindere dal fatto che vi sia o meno un ente di beneficenza che operi in quel medesimo ambito. Non hanno alcun interesse a “sperperare a caso i loro doni”, e gli enti di beneficenza che intendono ricevere il loro sostegno devono essere in grado di dimostrare esattamente perché sono migliori e perché sono meritevoli di sostegno.
 
Purtroppo, è probabile che, nei prossimi mesi e anni, alcuni enti di beneficenza del Regno Unito siano costretti a chiudere a causa di difficoltà finanziarie. Questo è, naturalmente, terribilmente triste. Anche perché, con buona probabilità, molti di quelli che si troveranno a lottare per sopravvivere stanno svolgendo un lavoro meraviglioso. Un lavoro che, però, non è stato ancora scoperto dai grandi filantropi o dai sovvenzionatori statali.
Ma, pensando a come attrarre nuovi donatori e più risorse a favore del settore, credo che sia importante ricordare i principi che Seneca, per primo, ha identificato, e cioè, che quello che conta nella beneficenza è non tanto la motivazione, quanto l’impatto che ha, non tanto ciò che entra, bensì ciò che ne viene fuori: il risultato.
Gli enti regolatori, come la Charity Commission, svolgono un ruolo essenziale nel far rispettare le norme giuridiche relativamente a “ciò che entra”; e questo è estremamente importante.
Ma sono gli enti di beneficenza stessi i diretti responsabili della qualità dei risultati e, quindi, della capacità di attrarre filantropi e donatori che possano sostenerli.
 
Estratto dall’intervento all’incontro Risorse private per il Terzo settore di Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà e Assifero, per gentile concessione dell’autore

Quando il capitalismo è filantropico

Tra Inghilterra e Galles risultano attualmente registrati circa 180mila enti di beneficenza, senza contare le migliaia di associazioni e organizzazioni benefiche che non sono giuridicamente tenute a registrarsi, perché il loro reddito annuo ammonta a meno di 6mila euro. Questi 180mila enti di beneficenza sono sostenuti da centinaia di migliaia di amministratori, volontari, collaboratori e da milioni di donatori e…

Il Codice di Camaldoli 1-7

 1. La società e il destino dell´uomo. L´uomo è per sua natura un essere socievole: sussiste cioè fra gli uomini una naturale solidarietà, fratellanza e complementarietà per cui le esigenze delle singole personalità non possono essere pienamente soddisfatte che nella società. I fenomeni sociali non sono pertanto che attività umane. Per conoscerli e per trattarli è necessario conoscere la natura…

Il Codice di Camaldoli 8-20

8. Essenza dello stato. La società si compone di tante attività caratteristiche dell´uomo e della famiglia, che mettono capo a principi e interessi fondamentali, quali principalmente la religione, la morale, la scienza, la politica, il diritto, l´economia, l´arte, la tecnica, ecc. Queste attività costituiscono delle forze e danno luogo a realtà di gruppi e di istituzioni sociali nei cui riguardi…

Il Codice di Camaldoli 21-30

21. Natura e fine della società familiare. La famiglia, sorgente di vita, cellula della struttura sociale, prima scuola e primo tempio, è una istituzione naturale, di origine divina, ordinata alla procreazione e alla educazione della prole e costituisce il primo sussidio dato agli uomini per il perfezionamento della propria personalità. Pertanto la famiglia è necessaria per il raggiungimento dei fini…

Il Codice di Camaldoli 31-54

 31. Essenza e fine dell´educazione. L´educazione consiste nella formazione dell´uomo, quale egli deve essere e quale deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il fine per il quale fu creato: essa opera su un soggetto che possiede solo in potenza la scienza e la virtù per dirigerlo, condurlo, guidarlo ad attuare in questa vita la sua più alta perfezione.…

Il Codice di Camaldoli 55-70

(Il Capitolo sul Lavoro è stato redatto dal Ezio Vanoni unitamente a Pasquale Saraceno e Sergio Paronetto) 55. Diritto al lavoro; sua dignità. Risponde a un principio di giustizia naturale che ogni uomo possa attingere ai beni materiali disponibili sulla terra quanto necessario per un pieno sviluppo delle sue energie individuali e di quelle dei familiari ai quali egli deve…

Il Codice di Camaldoli 71-84

71. La giustizia sociale principio direttivo della vita economica. I beni materiali sono destinati da Dio a vantaggio comune di tutti gli uomini. Nel campo economico, la giustizia sociale si risolve, fondamentalmente, nella attuazione di questo principio. Appartiene quindi alla giustizia sociale di promuovere una equa ripartizione dei beni per cui non possa un individuo o una classe escludere altri…

Il Codice di Camaldoli 85-94

85. Attività economica privata ed attività economica pubblica. I principi della giustizia sociale (art. 71) esigono che le singole attività economiche private, mediante le quali individui e gruppi tendono a realizzare i propri particolari fini, vengano armonizzate in relazione al comune interesse di impedire che le energie individuali rimangano puramente potenziali o siano ostacolate nel loro sviluppo. L´armonizzazione nel senso…

Il Codice di Camaldoli 95-99

 95. Sviluppo internazionale delle forze sociali. La maggior parte degli interessi dal cui complesso nasce la vita sociale hanno natura e capacità di svolgimento che superano l´ambito delle realtà nazionali e dei singoli stati e possono trovare piena applicazione o appagamento solo in soluzioni conformi alla loro natura e cioè di carattere internazionale. Per conseguenza le forze sociali che provvedono…

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