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Pensando al Brasile, fino a pochissimo tempo fa, veniva in mente un Paese in crisi, oberato dal debito estero, dilaniato dagli squilibri sociali e più incline a consolarsi col calcio e la samba che a preoccuparsi del futuro. Oggi dobbiamo riconoscere – e lo facciamo volentieri – che la nostra impressione era sbagliata o, quantomeno, parziale. I problemi esistevano, ma c’erano anche la voglia e la forza di risolverli. Negli ultimi tempi la situazione economica brasiliana è migliorata radicalmente e, soprattutto, è cambiata la percezione che del Paese si ha all’estero. Oggi le potenze tradizionali si rendono conto che il G7 non basta più a rappresentare la realtà planetaria; si convoca il G20 e, in primo luogo, si devono fare i conti coi Bric: con quei Paesi di recente industrializzazione, cioè, al cui primo posto, anche nell’acronimo, viene il Brasile.
Anche nel nostro campo, l’assicurazione del credito all’esportazione, la valutazione Ocse del Brasile è migliorata in maniera evidente: ancora nella prima metà del 2004 era classificato nella sesta categoria di rischio, a un passo dalla peggiore (la settima), ma in soli tre anni il Paese è risalito fino alla terza categoria, un vero e proprio balzo di cui sarebbe difficile individuare un precedente altrettanto significativo: sia per la dimensione dell’economia brasiliana sia per l’importanza che essa riveste nel mercato globale. Basti pensare che nel breve volgere di un decennio la politica economica perseguita dalle Autorità di Brasilia ha condotto ad un sostanziale miglioramento della struttura del debito estero, al punto da far guadagnare al Paese il cosiddetto investment grade delle principali agenzie mondiali di rating.
 
Nel 2007 il Brasile ha ripagato anticipatamente il proprio debito di 15,5 miliardi di dollari nei confronti del Fmi ed ha estinto anche il suo debito complessivo di 1,7 miliardi di dollari verso il Club di Parigi (il gruppo dei Paesi creditori). L’accumulo di riserve valutarie, inoltre, prosegue e si mantiene ad un livello più che soddisfacente in termini di copertura delle importazioni (circa 200 miliardi di dollari, pari a ben nove mesi di importazioni correnti a fronte del livello di tre mesi considerato normalmente adeguato).
Da “grande malato” – oggetto per decenni di attenzione da parte del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale – il Brasile è diventato oggi un protagonista di primo piano sullo scenario geopolitico internazionale e, da importatore di tecnologia, si è trasformato, soltanto per fare un esempio, in grande produttore aeronautico, facendo concorrenza all’Europa e al Canada nel settore dei velivoli regionali. È perfino ovvio, dunque, che questo enorme Paese – depositario fra l’altro del principale “polmone verde” del pianeta e di risorse naturali straordinariamente abbondanti – venga percepito oggi come uno dei mercati più interessanti a livello globale. Tutto sembra concorrere a fare del Brasile un modello anche per gli altri Paesi latino-americani: aver saputo coniugare il risanamento economico con le politiche sociali di redistribuzione del reddito e di riduzione degli squilibri territoriali, pur in una situazione di crisi finanziaria mondiale, rende “la via brasiliana allo sviluppo” un fenomeno de-gno di studio e, nella misura del possibile, anche di imitazione. Si consideri, tra l’altro, che la situazione demografica del Brasile – quasi 200 milioni di abitanti, 30 dei quali di origine italiana, con un’alta percentuale di giovani e una bassissima densità abitativa – apre al Paese prospettive di sviluppo difficilmente riscontrabili altrove.
 
Non stupisce, quindi, che in un contesto di stabilità macroeconomica ormai acquisita e di elevata propensione alle importazioni, soprattutto in settori tecnologicamente avanzati e nell’agroalimentare, gli investimenti italiani siano numerosi e consistenti: nello scorso mese di ottobre – soltanto per citare un dato – risultavano attive in loco ben 560 imprese italiane. Ma il ruolo che la nostra imprenditoria può giocare su un mercato così vasto e promettente è davvero unico. Vale la pena di ricordare che nonostante alcune limitazioni – relative peraltro a pochi settori considerati strategici – la Foreign capital law in vigore fin dal 1962 permette agli investitori stranieri di acquisire fino al 100% delle imprese locali e, di fatto, gli unici seri ostacoli all’investimento diretto sono di natura burocratica e fiscale. Nulla di insuperabile, insomma, soprattutto per imprese come le nostre, abituate a risolvere quotidianamente problemi di questo genere.
Le opportunità, peraltro, sono moltissime. Non esiste praticamente settore di attività in cui la nostra imprenditoria non possa trovare sbocchi interessanti e proficui. Dagli Stati economicamente più evoluti del sud a quelli del nord, maggiormente bisognosi di sviluppo, il governo brasiliano ha previsto con l’ultimo
Pluriannual investment plan e con il Piano di accelerazione della crescita (Pac), investimenti per ben 87 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali e in acquisizione di tecnologie: un’occasione da non perdere per le imprese italiane di ingegneria, information technology, costruzioni, informatica e via via elencando, fino a coprire l’intera gamma delle eccellenze produttive italiane.
 
Sace, se mi si permette di citare la Società che ho l’onore di presiedere, può essere di grande aiuto per i nostri operatori che intendano guardare verso questa “nuova frontiera” imprenditoriale. La nostra missione è favorire il Sistema Italia, in particolare le Pmi, sostenendone la competitività e facilitandone l’accesso al credito, grazie alle garanzie sui prestiti bancari per i progetti di sviluppo sui mercati esteri che trasformano i rischi di insolvenza dei partner commerciali in opportunità di sviluppo.
Oltre all’assicurazione contro il rischio di mancato pagamento (per proteggere contro rischi di natura politica e commerciale le aziende e le banche che concedono dilazioni di pagamento ad acquirenti italiani ed esteri), Sace mette a disposizione soluzioni integrate di credit management quali la protezione degli investimenti (per il capitale di rischio investito ed i relativi utili conseguiti), le cauzioni e polizze fideiussorie (per sostenere le aziende, soprattutto del settore edile, in tutte le fasi del loro business) e le garanzie finanziarie per operazioni commerciali, finanziarie e di project & structured finance. Il Brasile non è certamente più il “Paese a rischio” di qualche anno fa, ma anche Sace non è più l’assicuratore “di ultima istanza” che operava tradizionalmente soltanto sui mercati più problematici. Oggi i servizi assicurativi e finanziari di Sace sono fra gli strumenti principali a disposizione degli imprenditori italiani per cogliere le migliori opportunità dovunque esse si presentino, e in Brasile se ne presentano davvero tante.

Balzo in avanti. Verde oro

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