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La mente è oggi sottoposta, senza dubbio, a una quantità elevata di stimoli e input. Raggiunta da “messaggi” che si sono moltiplicati e continuano a moltiplicarsi grazie alle “bottiglie” – per ricordare una dimensione fiabesca – che si fanno carico del loro trasferimento. Esiste un’infinita quantità di mezzi, altamente tecnologici, che garantiscono un’interconnessione globale più efficiente e completa. Con quali vantaggi per la qualità della nostra vita? E il bene della nostra mente?
 
Siamo sicuramente tutti più “a portata di mano”. Il che, è ovvio e innegabile, agevola una serie di scambi d’informazioni e procedure, ad un ritmo, fino a poco tempo fa, impensabile. Sta di fatto, però, che diventa sempre più comune il fenomeno della lamentela proprio nei confronti di questa continua e costante interconnessione e rintracciabilità. Verrebbe da pensare che Napoleone senza televisore e cellulare non è stato proprio con le “mani in mano”, ovviamente usando un’iperbole in maniera provocatoria. Comunque la possibilità di essere rintracciabili su più piattaforme e in tempo reale non rende del tutto comprensibile agli altri il fatto che in determinate occasioni si sia impossibilitati a dare seguito a certe richieste o occuparsi di determinate questioni. Personalmente, da amante della scrittura, senza telefoni e altri strumenti non dovrei per esempio “giustificarmi” nel momento in cui mi dedico alle mie pagine o ad un nuovo libro. Spero di riuscire a rendere l’idea. (Proprio queste righe – nel momento in cui mi sto dedicando alla loro stesura – oltre ad essere intervallate da spazi e riflessioni sono scandite da “piacevoli” telefonate e messaggi di testo).
 
Noto dunque da più parti che l’interconnessione multipiattaforma e costante, nell’ottica di rendere la nostra vita – professionale e non solo – migliore e più agevole, non sempre viene avvertita come tale.
Per andare oltre, continuando a tentare di vedere il fenomeno da un punto di vista “diverso” rispetto alla condivisa importanza del progresso e delle sue conquiste, mi soffermerei sul tipo di rapporti che queste nuove modalità d’interazione consentono d’instaurare.
 
Viviamo un momento storico in cui godiamo delle memorabili conquiste dell’individualismo, tanto bene analizzato ed argomentato da Karl Popper, ma che al contempo lascia meno spazio alla “condivisione”. Periodi non troppo lontani nel passato sono stati caratterizzati da intensi e prolungati conflitti sociali, scontri ideologici e crisi identitarie. I momenti di condivisione e un sincero spirito solidale erano, però, più sentiti e desiderati. Mi riferisco a un “comune sentire” di cui oggi, a più livelli e in più contesti, si stanno perdendo le tracce. Un po’ per necessità, un po’ per il mutare di tanti cleavages a livello sociale, ma anche per un’umana tendenza a concentrarsi su un problema, una risorsa, insomma un qualsiasi evento come “fatto” più individuale che collettivo. Nonostante le interconnessioni siano più numerose, frequenti, solide e trasversali.
 
Gli spazi di condivisione virtuale rischiano di relegare questo momento d’incontro tra uomini proprio a una dimensione lontana dal reale. Con la conseguenza che ai giovani, oggi, risulta più semplice e consueto dialogare non più tramite cellulare, ma tramite pc o smartphone. Non solo in audio, ma anche tramite il video. Rinunciando ad incontrarsi di persona, o facendolo quantomeno più di rado, perché – per loro stessa ammissione, come ho avuto modo di leggere o sentire direttamente in più occasioni – riescono ad essere più naturali in un dialogo tramite computer o tablet.
 
Dunque, la dimensione naturale è quella virtuale e la presenza fisica diventa elemento che penalizza la naturalezza e la spontaneità. Credo ci sia quantomeno da riflettere a riguardo. Sicuramente questo non significa rinunciare al supporto e all’utilità di nuovi mezzi e nuovi media, ma essere educati e “consapevoli” nell’approcciarli. In questo la famiglia – cosiddetta prima “agenzia di socializzazione” – gioca un ruolo di assoluta e primaria importanza. Anello debole – o punto di forza – di una società a tratti frammentata (ma abbondantemente interconnessa, faccio nuovamente notare) la famiglia è determinante nell’educare al dialogo ed alla “socialità”.
 
Così come ricorda la classica e ricorrente immagine che noi tutti abbiamo in mente quando parliamo di famiglia e dialogo, ovvero la mamma e il papà che parlano e il figlio o la figlia intenti a chattare o navigare su Internet. Questo per affermare con forza che non sono da demonizzare i mezzi, che tanto si sono evoluti e che per il naturale corso degli eventi continueranno a farlo, ma piuttosto che dobbiamo dimostrarci “educati” nell’utilizzarli o condividerne l’utilizzo. Imparando a distinguere quando possono essere strumenti utili a districarsi nelle esigenze del mondo reale piuttosto che capaci di contribuire a creare una dimensione “altra” di rapporti e relazioni.
 
Marshall McLuhan parlava di “villaggio globale”. Oggi, nel bene e nel “male”, ci siamo pienamente dentro. Buona navigazione.

Tu, io... e il pc tra noi

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