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Occorre rivolgersi alle persone che invecchiano non con occhio assistenziale, ma con quello del coinvolgimento sociale: volontariato, affido, gestione di progetti. Tutte attività volte a ricostruire una rete sociale e un patrimonio di costumi e tradizioni che nelle grandi città si sta un po’ disperdendo. Oltre all’offerta di servizi strutturati è necessario affrontare le “solitudini urbane”. Le amministrazioni cercano di sopperire ai vuoti lasciati dalla società con nuovi servizi
La questione dell’invecchiamento della popolazione è un tema che assume sempre più una dimensione anagrafico-sociale. Aumentano le aspettative di vita, si vive più a lungo: si invecchia!
Ormai la popolazione con più di 65 anni rappresenta oltre il 25% dei residenti e le prospettive per i prossimi anni disegnano il famoso grafico della “piramide rovesciata”. Ma questa considerazione non si traduce in una semplice equazione più anziani, più assistenza. Anche scorporando la parte di cronicità, le lungo degenze, la non autosufficienza, è comunque una fascia significativa e rappresentativa di anziani, giovani e meno giovani, ancora attivi o “attivabili” che rappresenta la dimensione sociale del fenomeno: una risorsa da coinvolgere nelle politiche sociali, più che destinataria delle stesse.
Ecco il ruolo delle istituzioni: rivolgersi alle persone che invecchiano non con occhio assistenziale, ma con quello del coinvolgimento sociale: volontariato, affido, gestione di progetti. Tutte attività volte a ricostruire una rete sociale e un patrimonio di costumi e tradizioni che nelle grandi città si sta un po’ disperdendo. Oltre all’offerta di servizi strutturati è necessario affrontare le “solitudini urbane” promuovendo il buon senso di “vicinato” che si è perso.
 
Oggi le amministrazioni cercano di sopperire ai vuoti lasciati dalle nuove condizioni sociali (i genitori entrambi lavoratori e il tempo che dedicano ai figli; gli orari delle famiglie monogenitoriali; l’accompagnamento verso l’invecchiamento delle persone anziane; l’assistenza ai non autosufficienti) con nuovi servizi (badanti, educatori, babysitter, strutture residenziali, tempo lungo a scuola). Sarebbe molto bello se si riscoprisse la collaborazione tra vicini di casa; il coinvolgimento dei nonni (anche “affidatari”) nella gestione diurna dei ragazzi; forme di attenzione nei confronti degli anziani più in difficoltà; forme di convivenza in condomini “solidali” creando gruppi di acquisto collettivi, gestendo le spese, mettendo in comunione alcuni servizi (lavanderia, stireria, luoghi di aggregazione).
Il compito delle istituzioni è quello di promuovere, così come ha fatto Torino, forme di housing sociale; i condomini solidali (via Romolo Gessi); il Rifugio diffuso (per le persone straniere accolte da famiglie italiane); l’assistenza domiciliare (per mantenere il più possibile nel loro contesto sociale e familiare le persone anziane e/o non autosufficienti); servizi residenziali complementari per evitare ghettizzazioni (come nuove Rsa realizzate con asili nido o con parchi giochi per bambini aperti al territorio; come centri di accoglienza notturna che promuovano anche attività diurne come un emporio, caffetteria, laboratori). Insomma, promuovere azioni che favoriscano la “salute” di una comunità ricca di relazioni e capace di dare valore alle potenzialità dei suoi cittadini.
Adattando la citazione del film dei fratelli Coen, vorrei che l’Italia fosse “un Paese in cui si è protagonisti anche da vecchi”.

Il ruolo delle istituzioni

Occorre rivolgersi alle persone che invecchiano non con occhio assistenziale, ma con quello del coinvolgimento sociale: volontariato, affido, gestione di progetti. Tutte attività volte a ricostruire una rete sociale e un patrimonio di costumi e tradizioni che nelle grandi città si sta un po’ disperdendo. Oltre all’offerta di servizi strutturati è necessario affrontare le “solitudini urbane”. Le amministrazioni cercano di…

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