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Interessante lavoro sui tassisti newyorkesi, uscito sulla prestigiosissima American Economic Review, di Vincent Crawford (Oxford University) e Juanjuan Meng (Università di Pechino).
 
Dove si dimostra che “la curva di offerta di lavoro dei tassisti non è crescente”. Non è cioè vero che i tassisti vogliono sempre lavorare più ore per guadagnare di più. No. Essi esibiscono anzi preferenze che in linguaggio tecnico chiamiamo “dipendenti da un target (reference-dependent)”, ovvero che mostrano l’impellente bisogno di raggiungere un certo ammontare di reddito ritenuto congruo. Oltre quel reddito preferiscono godersi il tempo libero. Meno di quell’ammontare no, fa molto male ed è considerato dannoso.
 
Stavo pensando. Se queste sono anche le preferenze dei tassisti italiani, come si profila la questione di una seria e condivisa riforma dei taxi? Non che io sia un esperto, ma dagli strilli non mi pare che ce ne siano tantissimi in giro di esperti di riforma dei taxi, quindi mi avventuro. Con un esempio fittizio ma che rende l’idea.
Immaginate che un tassista voglia assolutamente guadagnare (la cifra non è importante è un esempio) 3000 euro al mese (non 1 euro di più, non uno di meno), 100 euro al giorno, e che per farlo (una corsa in media facciamo che costi 10 euro), debba “imbarcare” 10 clienti al giorno.
 
Ora la questione è la seguente. In tempi normali per l’economia, ci si mettono 8 ore (supponiamo) a tirar su 10 clienti. 8 ore di lavoro sono (supponiamo) ritenute accettabili dal nostro tassista e ciò è compatibile con una bassa attesa per un taxi da parte di chi ne desidera uno. Tutto bene dunque, nessun bisogno di riforme.
In tempi di recessione (come quello attuale), pochi clienti (per semplicità teniamo fisse le tariffe, abbassarle sarebbe un incubo politico), ci vogliono 12 ore di lavoro per raggiungere gli agognati 100 euro quotidiani. Certo è dura per il tassista lavorare così tanto, ma se è come il suo collega newyorkese a 3000 euro alla fine del mese deve arrivare, ed è disposto a farlo. Non ci sono code per i taxi e sarebbe assurdo fare una riforma che faccia girare per la città più taxi (più licenze, per esempio): il tassista lavorerebbe più di 12 ore, spesso a vuoto, senza che migliori la felicità dei (pochi) clienti.
 
Ma ora pensiamo ad un periodo di espansione economica. Tanti clienti che vogliono prendere il taxi. Nel giro di 4 ore il nostro tassista fa i suoi 100 euro e si gode il tempo libero, magari in una piazzola a parlare con gli amici, magari fermandosi a mangiare a casa. Lui sta bene, ma non stanno bene i clienti che non trovano i taxi sufficienti. E’ in questo caso che una riforma diventa pressante ed utile, perché riduce i tempi di attesa per i consumatori trasportati. Ma come attuarla? A me pare semplice. Basta che si crei un’autorità che misura i tempi di attesa dei clienti e che, nel caso questi superino un certo livello, si facciano entrare in tempo reale in giro per la città (“sul mercato”) tassisti addizionali “temporanei”. Che non portano via il lavoro a nessuno e che soddisfano il picco di domanda.
 
Magari qualcuno ci aveva già pensato, ma non so quanti visto che tutto dipende dalla (strana) struttura delle preferenze dei tassisti documentati dallo studio pubblicato. E comunque siamo sempre lì: un’altra riforma in recessione di cui non si sente bisogno. E, tatticamente, abbiamo bisogno di un Presidente del Consiglio distratto rispetto alle questioni europee? Per quale vantaggio?
 
www.gustavopiga.it

Taxi driver

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