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Dopo la fine della Guerra fredda, lo spazio della politica è stato occupato, in parte, dall’economia e dalla finanza. L’informatizzazione ha accelerato il progresso scientifico e tecnologico. La globalizzazione ha stimolato la competizione sia fra gli Stati sia all’interno di essi. Ha fatto vincitori e vinti. Compito dello Stato collocare il sistema-Paese, le sue imprese e i cittadini tra i vincitori della globalizzazione. Lo può fare solo aumentando la competitività. Essa costituisce parte integrante del contratto sociale e politico di ogni Stato. L’aumento della competitività deriva da vari fattori: infrastrutture, efficienza e rapidità della Pubblica amministrazione e della giustizia civile, cultura ed etica del lavoro, formazione professionale, ricerca e sviluppo, intelligence economica, finanziaria e tecnologica. Quest’ultima ha assunto un maggior rilievo in tutti gli Stati. La legge di riforma dei Servizi di informazione per la sicurezza (124/2007) ne tiene conto.
 
L’economia è un settore essenziale sia per il benessere dei cittadini sia per la sicurezza dello Stato. La sua importanza è accresciuta dal fatto che il mondo è divenuto “piatto” (per la porosità delle frontiere e la prevalenza delle reti sulle piramidi) e “pieno” (per l’irruzione dei Paesi emergenti e la crescita demografica). La competizione è diventata globale, anche per la riduzione dei costi e dei tempi dei trasporti e delle telecomunicazioni. Infine, hanno una rilevanza crescente i negoziati internazionali, volti a fissare regole e standard. Essi influiscono sulla competitività del Paese. Politici ed imprenditori vanno sostenuti da un’intelligence puntuale, che può essere limitata alle “fonti aperte” e ad Internet. Senza intelligence, le scelte non possono essere ottimali. Prima di esaminare i problemi da affrontare nel campo dell’intelligence economica e le loro specificità in un Paese con la cultura politico-istituzionale dell’Italia, appare interessante approfondire che cosa è cambiato. Nella Guerra fredda, l’intelligence era polarizzata sul confronto strategico fra i due blocchi. La strategia era prevalentemente militare, determinata dalle eleganti ancorché pericolose semplicità della strategia nucleare. Dopo la sua fine, il contesto strategico si è frammentato, mentre quello economico si è globalizzato. Un modello, forse ancora inimitato, è stata la repubblica di Venezia, che proprio dall’eccellenza della propria intelligence ha tratto potenza e ricchezza. Anche in passato venivano protette le tecnologie critiche sia militari (fuoco greco), sia commerciali (vetri di Murano, macchine tessili a vapore britanniche). Oggi è diverso, anche perché la strumentalità della forza per raggiungere obiettivi politici è minore: costa sempre più e rende sempre meno. Le colonie non vengono più cercate. Le commodities non si conquistano, ma si comprano. La moneta, prima solo strumento di scambio e di riserva, è divenuta una commodity. Guerra fra le monete, Fondi sovrani di ricchezza, “avvoltoi” dei debiti sovrani e manovre sul rating dominano i rapporti internazionali. Anche l’intelligence tecnologica è mutata. Non si tratta più di controllare tecnologie di punta, per evitare che il blocco sovietico colmasse il divario qualitativo dall’occidente. La protezione dei diritti di proprietà intellettuale, la tutela dei propri segreti industriali, commerciali, ecc. è divenuta centrale. È più dinamica del passato. Non si tratta, come avveniva nella Guerra fredda, di contrastare un solo avversario.
 
I concorrenti sono molti. Ci si trova nella situazione denominata da Hobbes “anarchia internazionale”, di “guerra di tutti contro tutti”. I “colpi bassi” sono la regola, anche per la “deregolamentazione” del mercato globale. Non esistono regole, poiché non esiste una governance in condizioni di farle rispettare. Ciascuno sceglie quelle a lui più convenienti e cerca di imporle agli altri. La cooperazione è possibile se esistono interessi comuni.
Come quella militare, l’intelligence economica comprende attività offensive e difensive, spionaggio e controspionaggio. Come dimostra l’espulsione dagli Usa di funzionari dell’intelligence francese o il caso del sistema globale anglosassone di intercettazione Echelon, essa si sviluppa anche nei confronti degli alleati. Lo impone l’“ipercompetizione” che caratterizza la nostra epoca e dal cui successo dipende non solo la crescita, ma anche la sopravvivenza della nazione.
 
Un’altra differenza della sicurezza economica rispetto a quella strategica è che nella prima domina l’incertezza, nella seconda il rischio. La logica che deve informarle è perciò differente. Infine, l’utilizzatore dell’intelligence militare è unico, cioè è lo Stato, che possiede il monopolio della forza legittima. In campo economico, finanziario e tecnologico, gli utilizzatori sono invece molteplici. Sono sia pubblici sia privati. Si pongono così problemi – molto delicati soprattutto negli Stati in cui il sistema politico non è stabile o i Servizi soffrono ancora dei contrasti derivati dalle divisioni politiche della Guerra fredda – relativi all’integrazione o, almeno, all’interfaccia “pubblico-privato”. Tali problemi si riferiscono a tutte le attività che, seppure illegali, sono legittime perché volte alla sicurezza dello Stato, intesa nel suo significato complessivo. Il “valore aggiunto” dei Servizi deriva proprio da esse. Non si riferisce tanto alle “fonti aperte”, ma anche ad attività illegali, quali intercettazioni, furto di segreti tecnologici e industriali, destabilizzazione del prestigio della concorrenza, reclutamento di agenti nei centri decisionali, ecc.
 
Nel mondo dell’intelligence non agiscono gentiluomini con guanti bianchi. L’interesse nazionale impone spesso di “sporcarsi le mani”, anche per la crescita dell’economia nazionale e del benessere dei cittadini. Essa è parte del concetto di sicurezza allargata e va protetta dallo Stato. È quanto il prof. Savona ed io abbiamo illustrato in un recente saggio (Jean-Savona, Intelligence economica, Rubbettino, 2011). È con soddisfazione che si deve prendere atto dei notevoli progressi realizzati in Italia negli ultimi tempi. Sono essenziali per mantenere il nostro Paese nel novero di quelli più avanzati.

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