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Quando pochi giorni fa dei container sono esplosi al porto di Latakia, in Siria, è diventato ancora più evidente che un altro dei fronti del Mediterraneo, quello siriano, è ancora attivissimo e con lui le sue tensioni. Quelle esplosioni erano con ogni probabilità legate a un raid israeliano, che per la prima volta si sono spinti a colpire il molo assadista sul Mediterraneo orientale. I raid invece sono una costante che va avanti dal 2013 e sono il modo con cui Gerusalemme cerca di rendere più complicato il passaggio di armi da parte dei Pasdaran alle milizie sciite collegate (la libanese Hezbollah e la galassia irachena) che forniscono assistenza al rais Bashar el Assad.

Le operazioni israeliane come è noto si legano a un convincimento: prima o poi le armi che gli iraniani forniscono ai miliziani sciiti anti-sionisti saranno usate contro lo stato ebraico. Per questo attacchi come quello di inizio settimana a Latakia o come altri nell’entroterra (anche recentissimi) sono considerati dai pianificatori di Gerusalemme simili a un vaccino per prevenire i parossismi di un virus che i Pasdaran stanno ancora diffondendo – e questa diffusione è una delle ragioni per cui Israele sta ancora cercando di fare di tutto per evitare la ricomposizione dell’accordo sul nucleare Jcpoa.

Quel fronte non è nuovo dunque, e le acque davanti Latakia erano state anche mesi fa oggetto di esplosioni sospette come nel caso della porta-container iraniana “Shahre Kord”. Tuttavia desta interesse anche perché tutto questo avviene mentre proprio quella stessa fascia del bacino — nonostante l’enorme crisi in Libano — fa apprezzare elementi di stabilizzazione come per esempio l’avvio di un’esplorazione gasifera qatarina (e americana) tra le acque di Cipro, dopo che le stesse erano diventate nuovamente teatro di crisi tra Nicosia e Ankara nei mesi scorsi.

Turchia e Iran, insieme alla Russia, sono i protagonisti del Processo di Astana, forma di contatto negoziale – o meglio, tentativo di – tra i tre Paesi più direttamente coinvolti nella crisi siriana. Crisi che – come raccontano gli episodi che al porto di Latakia – ha coinvolto vari fronti, ne ha esasperati e talvolta creati di nuovi, ed è tutt’altro che risolta. Quanto dista Astana dal Mediterraneo? Perché è così importante prendere nota dei fiumi carsici che poi, senza preavviso, sfociano nel mare aperto e determinano conseguenze tangibili? Perché storie, tracce, movimenti e influenze di vecchi imperi e nuove potenze economiche si irradiano da quelle terre e influenzano anche il nostro Occidente, spiega in un suo nuovo saggio Antonella De Biasi, giornalista autrice, si occupa di attori non statali e di questione curda, esperta della regione e della crisi siriana.

De Biasi è in libreria con “Astana e i 7 mari”, edito OGZero, una guida per raccontare come il Mediterraneo sia un mare che “metaforicamente contiene tutti gli altri, un tesoro blu che irradia il suo ascendente verso le vie fluviali nervatura del Vecchio Continente che si spinge nelle terre mitteleuropee e balcaniche e gli snodi marittimi più nascosti, e trae linfa dai canali e dagli stretti”. Analisi che parte proprio dal valore geopolitico degli accordi di Astana, dove i tre protagonisti sono nazioni che ambiscono alla proiezione sul Mediterraneo e che per ottenerla hanno sfruttato anche la crisi in Siria (prima, e poi quella Libia per quel che riguarda Turchia e Russia).

Recentemente il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha parlato della volontà dell’Italia di spingere “un’agenda positiva” nel Mediterraneo, che non guardi alla regione “come un luogo di crisi, ma ne riconosca le straordinarie potenzialità”, uno spazio di dialogo e connessione tra Europa, Africa, Asia “unite in un’unica dimensione”; un mare che contiene tutti gli altri, appunto. Qual è lo scenario futuro per gli equilibri mediterranei, tra tensioni e distensioni?

“Siamo in un momento di transizione epocale – consegnatoci non solo dalla gestione del post-pandemia ma da nuovi equilibri geopolitici”, risponde De Biasi a Formiche.net. “Non c’è solo il nuovo corso dell’America di Biden o la Cina di Xi Jinping che si qualifica ad attore paritario attraverso economia e soft power”, continua: “Dobbiamo tener conto dei due principali protagonisti del processo di Astana – oggi Nur-Sultan – ovvero Turchia e Russia che cercheranno di mantenere l’influenza guadagnata negli ultimi quattro anni di presidenza Trump anche nell’area mediterranea”.

Nata come alleanza a tempo “Astana” (dopo la Siria) è diventata un modello operativo ripetuto in modo eccezionale in Libia, fa notare l’analista, mandando avanti truppe mercenarie manovrate sul campo con specifiche regole di ingaggio da Ankara e da Mosca. “Certamente la situazione è molto fluida, però può essere anche il momento utile per raccogliere attorno a delle idee importanti di sviluppo condiviso, sostenibile, ben pianificato tutte le energie che la regione mediterranea contiene. Nel breve periodo le instabilità degli stati rivieraschi, il caos che proviene dal Levante e le dinamiche di ex-imperi dalle mire arroganti generano però altro caos”.

Il tempismo è tutto però… “Avere una visione chiara di che cosa può rappresentare davvero il Mediterraneo da parte dell’Europa e in particolare dall’Italia, che geograficamente e culturalmente ne è il centro, può certamente favorire uno sviluppo positivo dell’intera regione. Credo che questo sia uno degli scenari alla nostra portata”.

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