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Un investimento nell’interoperabilità della Nato e un sostegno diretto agli interessi di sicurezza nazionale di Ankara, di Washington e del blocco militare che deve sovraintendere a due quadranti estremamente sensibili come quello euromediterraneo e quello mediorientale. L’ufficialità dei caccia F-16 americani venduti alla Turchia rappresenta una svolta geopolitica nelle dinamiche internazionali che fanno capo alle politiche che investono il mare nostrum. In primis perché rafforzano un player già iper attivo, sia nella propria regione che in altri ambiti strategici come l’Africa e il Golfo. E in secondo luogo si mostra aperto ad una sorta di agenda positiva verso un governo che, alla luce dei due conflitti in corso e delle possibili ripercussioni delle stesse su vasta scala, dovrebbe aver imboccato definitivamente la strada delle policies Nato senza distinguo.

Sì F-16

La Turchia ha firmato una lettera di accettazione e di offerta per l’acquisto degli F-16 statunitensi. Lo ha confermato il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller. La vendita secondo gli Usa è una mossa che porta equilibrio all’interno degli alleati Nato che si trovano ad operare in quella specifica area del Mediterraneo e giunge dopo il via libera alla Grecia per gli F-35 e soprattutto ai lavori per il raddoppio della base som di Souda Bay, a Creta, che diventerà il centro nevralgico (Usa e Nato) di tutte le operazioni che investono Mediterraneo e Medio Oriente. Ma come si è giunti a questo risultato, nonostante le avversità di alcuni esponenti del Congresso, su tutti il senatore Bob Menendez?

No F-35

Dal 2021 Recep Tayyip Erdogan ha provato a convincere la Casa Bianca a garantirgli una o più pattuglie di F-16, al fine di modernizzare la propria flotta che comprende già caccia simili, ma che necessitava dell’aggiornamento Viper o di altri aerei. In seguito ha anche provato ad acquistare i più avanzati aerei F-35 della Lockheed Martin, ma gli Stati Uniti hanno rimosso la Turchia dal programma multinazionale nel 2019, a causa di una mossa pericolosa compiuta dal governo di Ankara: ovvero aver acquisito il sistema missilistico S-400 dalla Russia. Sarebbe stato un controsenso operativo (e geopolitico) che gli Usa non avrebbero potuto accettare.

Nel frattempo Washington ha iniziato a battere strade “alternative”, anche in considerazione delle intemperanze politiche di Erdogan e delle continue crisi con Grecia e Cipro e proprio Atene è diventato interlocutore principale degli Usa, sia sotto la presidenza Trump che sotto quella Biden.

Cooperazione sulla difesa

La decisione turca di ratificare formalmente l’adesione della Svezia alla Nato è stato l’acceleratore per la conclusione dell’affare, che riguarderà la vendita di 40 nuovi aerei F-16 Block 70 e 79 kit di ammodernamento per aggiornare i restanti F-16. Costo complessivo, 23 miliardi di dollari. In sostanza la postura pro-Nato di Ankara è stata prodromica alla conclusione dell’affare. In parallelo alla vendita, la Turchia sta provando ad aprirsi altre due strade: la produzione congiunta di alcuni componenti degli F-16 e il rimborso dei circa 1,4 miliardi di dollari stanziati per gli F-35 prima che venissero rimossi dal programma.

Secondo l’ambasciatore americano ad Ankara Jeff Flake la decisione Usa “segna un importante passo avanti nell’acquisto dei caccia, ciò è l’ultimo esempio dell’impegno duraturo degli Stati Uniti verso una partnership di sicurezza con la Turchia”. Il via libera ufficioso, compresa la caduta di tutte le perplessità americane, dovrebbe essere giunto in occasione della visita negli Usa del ministro degli Esteri turco Hakan Fidan. In quella occasione si posero le basi per un dialogo commerciale sulla difesa per favorire la cooperazione industriale. Oggi Ankara ne coglie i frutti.

Come cambierà la Turchia con gli F-16 americani

La postura pro-Nato di Ankara è stata prodromica alla conclusione dell’affare, dopo che gli Usa avevano espulso la Turchia dal programma per gli F-35. Così prosegue la cooperazione sulla difesa tra i due Paesi

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