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Matteo Renzi parla di banche dalle colonne del Sole24Ore. Lo ha fatto ieri, martedì 7 marzo, auspicando che sia convocata una commissione di inchiesta e rimarcando la rilevanza crisi sistemica a suo avviso sottovalutata da commentatori ed esperti. Una crisi che si avverte solo in concomitanza di vicende eclatanti come quella relativa a Mps. E si tratta di un’atteggiamento incomprensibile visto che “in base gli ultimi dati disponibili, le perdite aggregate lorde di esercizio delle sole prime dieci banche popolari italiane nel periodo 2011-2016 hanno quasi raggiunto cumulativamente i 20 miliardi di euro – ha scritto l’ex presidente del Consiglio – Una cifra enorme. Senza considerare la altrettanto enorme perdita di valore sopportata contemporaneamente dagli azionisti di diversi istituti, in particolare le due Popolari venete non quotate”. Quasi venti miliardi lordi e 16 netti. Il rosso accumulato negli ultimi cinque anni è importante per (quasi) tutta la top ten delle Popolari. Hanno perso tutte: dai 7,4 miliardi lordi di Banco Popolare al miliardo abbondante di Bpm, ai 3,4 di Ubi. E poi le venete: Popolare di Vicenza in cinque anni ha segnato un rosso di quasi 3 miliardi e Veneto Banca -2,24. Solo Popolare di Sondrio e Per segnano un risultato piatto nel periodo, sottolinea Renzi con tanto di tabella elaborata dallo stesso ex premier e pubblicata sul quotidiano diretto da Roberto Napoletano.

SISTEMA SOLIDO
Eppure non la considera una situazione disastrosa quella generale, Matteo Renzi, anzi. Definisce le nostre banche resilienti, nonostante la crescita delle sofferenze “una buona parte delle quali peraltro opportunamente coperte da rettifiche in bilancio e da garanzie reali adeguate. Abbiamo istituti solidi, che hanno inoltre quantitativi irrilevanti di titoli cosiddetti di livello 3 (derivati e simili) nei propri bilanci, a differenza di altri Paesi europei molto bravi a scrivere le regole comuni, meno bravi a rispettarle. E va altresì ricordato che l’Italia non ha – sino a tutto il 2016 – attivato aiuti pubblici di significativo rilievo per il salvataggio di banche, come invece è accaduto per somme di denaro enormi negli Stati Uniti e in molti Paesi europei, tra cui la Germania”.

MA LE POPOLARI SALVATE DALLE RIFORMA
Ma è sulle Popolari che le debolezze si fanno più pressanti e su di esse l’ex Presidente del Consiglio si attribuisce il merito di averle salvate da sicura disfatta grazie alla controversa riforma che impose alle maggiori Popolari italiane di trasformarsi in Spa nel giro di 18 mesi e di abbandonare la governance duale. “Che cosa sarebbe potuto succedere se la “governance” delle Popolari non fosse stata finalmente modificata, ponendo così fine a quel modello di vertici auto-referenziali, superpagati e immodificabili nel tempo che ha favorito anche diversi casi conclamati di mala gestio?”.
Secondo Renzi questa riforma che veniva rimandata da venti anni ha evitato il pericolo che le Popolari peggio gestite collassassero rapidamente, oltre ad aver creato le basi per un auspicabile consolidamento. Non lo scrive neppure troppo velatamente: l’aggregazione tra Banco Popolare e Bpm è merito della riforma.

SCANDALI VENETI
La riforma ha scoperchiato anche i vasi di Pandora, in casi come quelli delle due venete, il cui dissesto, continua Renzi “è originato principalmente da comportamenti scorretti dei vertici degli istituti per troppo tempo sottovalutati o, peggio, tollerati, anche a livello locale, mentre il regime del voto capitario e l’abuso delle deleghe contribuivano a mantenere lo status quo in un quadro di assoluta mancanza di trasparenza nei riguardi dei piccoli azionisti e dei risparmiatori. Sollevato il velo che copriva i reali conti patrimoniali dei due istituti, i valori delle azioni di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, fissati dai vertici delle due banche senza alcun reale riferimento di mercato, si sono pressoché azzerati”.
Una cosa è certa, secondo il premier: “La riforma delle Popolari scardina il potere di rendita dei potentati locali e tutela i risparmiatori garantendo i depositi, oltre che i posti di lavoro dei dipendenti delle banche stesse”.

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