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La burocrazia – come è emerso anche nel corso del convegno organizzato da I-Com nell’ambito dell’Osservatorio Orti e tenutosi a Roma lo scorso 4 ottobre – è una spada di Damocle che incombe pesantemente sulla testa delle imprese italiane. Se a questa, poi, si aggiungono anche il fisco e i ritardi nei pagamenti da parte delle Pubblica Amministrazione si genera un ambiente ostile al “fare impresa”, che compromette dunque lo sviluppo e la competitività del nostro sistema imprenditoriale.

La situazione – come riportato nel report I-Com “L’economia delle Regioni italiane e i rapporti tra amministrazioni territoriali e imprese”, presentato durante il convegno – si rende più critica al Sud, dove il carico fiscale è piuttosto oneroso – l’aliquota IRAP in alcune regioni raggiunge il 4,97% – e la Pubblica amministrazione paga con maggior ritardo i propri fornitori, ostacolando di fatto la nascita e/o la crescita delle imprese e dunque, la ripresa del Mezzogiorno, che sta dando, invece, prova di mettere a segno buoni risultati anche in termini di sviluppo infrastrutturale.

Il fenomeno del ritardo dei pagamenti della Pubblica Amministrazione pur avendo una portata maggiore al Sud riguarda tutte le regioni italiane, dove la gran parte degli enti pubblici non rispetta i termini fissati dalla legge[1]. In assoluto, i peggiori pagatori risultano essere i Comuni e le Asl.

L’Italia, dunque, con un tempo medio di pagamento della P.A. pari a 131 giorni, si presenta fanalino di coda nel confronto con gli altri Paesi europei, nonostante il numero di giorni nel 2016 sia calato del 9% rispetto al 2015, passando da 144 a 131.

pagamenti-imprese

Elaborazioni I-Com su dati Intrum Iustitia, European payment report 2016

Il nostro Paese è dunque ancora lontano dai limiti imposti dalla direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che impone alla P.A. di pagare i propri fornitori entro 30 giorni (o 60 giorni in alcuni casi) dalla data di emissione della fattura.

Inoltre, l’Italia ha un elevata quota di debiti commerciali della P.A. Secondo, infatti, la Banca d’Italia, nel 2015 lo stock di debiti commerciali della P.A. è pari a € 65 miliardi (4,0% del Pil). Nonostante sia lievemente diminuito rispetto agli anni precedenti, resta comunque notevolmente superiore a quello che dovrebbe essere il livello fisiologico, ossia coerente con i tempi di pagamento stabiliti contrattualmente dalle parti.

Dunque, sorge spontaneo chiedersi quali siano le ragioni che si celano dietro a tale fenomeno, che crea non poche difficoltà alle imprese (deficit di liquidità, tagli agli investimenti, ecc.).

Alcuni ritengono che non sia riconducibile solo alle difficoltà finanziare in cui versa la Pubblica Amministrazione ma che sia legato ad un apparato amministrativo poco efficiente e ad una cultura sedimentata in determinati territori che richiede un cambiamento del modo di operare della Pubblica Amministrazione, che – purtroppo – non può avvenire dall’oggi al domani.

[1] Gli enti della Pubblica Amministrazione sono tenuti a pagare le fatture inerenti alla fornitura di beni e servizi entro trenta giorni dalla data di emissione, con alcune eccezioni che consentono il pagamento entro sessanta giorni, come nel caso degli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine. Tale disposizione normativa è contenuta nel D.Lgs. 9 novembre 2012 n. 192, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 15 novembre 2012 n. 267. Il decreto in esame introduce modifiche al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

La difficoltà di “fare impresa” in Italia

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