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Non mi meraviglia più di tanto l’allontanamento del Movimento 5 Stelle dall’Ukip di Nigel Farage. Non mi meraviglia perché non ho mai creduto alla favola, accreditata da certi intellettuali di sinistra, di un movimento di destra, fascista nella sostanza e non solo nei modi (secondo l’usanza italiana di dare alla categoria di “fascismo” un significato ideale, quasi come prototipo di ogni concezione autoritaria della politica, e non storico come pure sarebbe giusto che fosse).

Non sappiamo ancora bene quali siano le intenzioni con cui Grillo e Casaleggio sono scesi in politica, né ovviamente come andrà in concreto a plasmarsi il loro movimento. Quel che però a mio avviso è chiaro è che esso non potrà mai assumere il profilo ideale di un movimento di destra estrema se vuole conservare quello zoccolo duro di elettori che lo hanno portato ad essere (probabilmente) il primo partito d’Italia.

Quegli elettori, per lo più giovani, sono in stragrande maggioranza, a mio avviso, di sinistra. Lo sono, certamente, in modo post ideologico, impolitico, confuso e contraddittorio. Né hanno, altrettanto certamente, quella capacità culturale e quella finezza di analisi che potrebbe portarli a vedere come il loro istinto ribellistico sia, in verità, tutto interno a uno sfondo ideologico e concettuale che è quello della vecchia sinistra sessantottina e, più generalmente, dell’ideologia dominante in Italia nel secondo dopoguerra. Ove quello che si è voluto un contropotere ha finito per essere il vero potere continuando però a descriversi e a viversi come opposizione e alternativa.

Grillo, indipendentemente dalle sue idee e dai suoi obiettivi, deve perciò tenere in conto ciò, cioè il profilo di chi lo vota. E, in questo senso, Farage, oltre ai motivi pragmatici addotti ufficialmente per la rottura, rappresentava, con le sue pulsioni xenofobe e le sue idee da vecchia destra, un motivo di confusione e frizione con il grosso dei militanti.

Se questa mia lettura ha un senso, si può dire che non aveva del tutto torto Bersani quando, aprendo, a inizio legislatura, un dialogo con i 5 stelle che si rivelò fallimentare e umiliante sia per lui sia per il suo partito, aveva come sentito o annusato una lontana “aria di famiglia”. Una consonanza, seppure alla lontana, che non rendeva del tutto peregrina la sua operazione e avrebbe potuto, secondo lui, portare (pia illusione!) a una istituzionalizzazione e canalizzazione democratica del movimento.

Certo, i grillini sono per lo più confusi, hanno una mezza cultura posticcia e raffazzonata, ma non è dubbio che tutti i loro principali ideali siano ben presenti nell'”album di famiglia” della sinistra: dal reddito di cittadinanza al pauperismo, dalla fobia per il privato e il mercato alla connessa idea di cospirazioni varie ordite da non meglio identificate “multinazionali”. Fino alla stessa idea di “democrazia diretta” che, pur da loro aggiornata ai tempi del “sacro web”, risale a Rousseau e al giacobinismo. E, si può aggiungere, oggi come ieri, genera tutte quelle contraddizioni, tipo la perorazione di un “tribunale del popolo” o l’idea che “uno vale uno”, destinate a contraddirsi nella prassi. Oppure, nel peggiore dei casi (anche se non in questo), a generare regimi oppressivi e autoritari che alla fine, essi sì, sono antidemocratici e illiberali.

Difesa BEPPE GRILLO Generali

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